Progetti di Educazione alla Legalità e Cittadinanza consapevole
“ESSERE LA LEGGE E LAVORARE PER LA LEGGE, MA SAPERLO FARE CON IL CUORE”
23 gennaio 2015 – Teatro Alcione
Ospiti:
– dott. Gianpaolo TREVISI, Comandante della Scuola Allievi di Polizia di Peschiera
– Tina MONTINARO, moglie di Antonio, capo della scorta del giudice Giovanni Falcone
Serata di intense emozioni quella che abbiamo vissuto stasera all’Alcione; circa 400 persone ad ascoltare ammaliati due figure simbolo della legalità.
Un fluttuare perpetuo ed emotivamente forte fra legge e sentimenti, fra atrocità inaudite e gesti di immenso coraggio, fra ricordi e speranze, fra dolori non sopiti ed affetti incontenibili, fra mediocrità e valori infiniti.
Sì perché, come ha detto Tina Montinaro, la carcassa della Croma su cui viaggiava la scorta di Giovanni Falcone, in realtà viaggia ancora sulle nostre strade e nei nostri cuori; siamo noi che la facciamo viaggiare ancora, credendo che quel sacrificio non è stato vano, ma anzi la manifestazione massima del coraggio e del senso del dovere; tre ragazzi (Antonio era il più … vecchio e aveva 30 anni) che pare stiano per entrare dalla porta da un momento all’altro, nonostante la loro macchina sia stata quella investita in pieno dalla deflagrazione di quei 400 kg. di tritolo, con cui era stato riempito fino all’inverosimile il tunnel sotto il manto stradale dell’autostrada A29 all’altezza dello svincolo di Capaci in quel tardo pomeriggio del 23 maggio 1992.
La carcassa dell’auto oggi era lì, all’ingresso del cinema Alcione, a dirci quanto la mafia fosse feroce in quegli anni e quanta vigliaccheria scorreva nelle vene di chi ordinò ed eseguì quell’attentato, ma anche a dirci che ci sono persone capaci di fare gesti di una grandezza estrema; quell’auto, per usare le parole del Comandante Trevisi, assume, come la Croce, il significato di un ponte verso l’aldilà, in cui avremo il piacere di reincontrare persone così belle e che ci hanno dato un insegnamento enorme: quello di chi sottolinea il valore del coraggio, il convivere con la paura, per sé e per la propria famiglia, ma in ogni caso non è un vigliacco e sente l’esigenza di andare avanti, sempre e comunque.
E’ stata la serata dei simboli, della legge e della memoria.
I simboli: solo due persone “simbolo”, un comandante della scuola di Polizia e la moglie di un uomo della scorta di Giovanni Falcone, potevano trattare così da vicino e con così tanta umanità l’argomento di stasera. I giovani non possono restare indifferenti ad un uomo (Trevisi) che ha sottolineato quanto sia diverso “stare in Polizia, dall’essere poliziotto”; stare in Polizia significa non vedere l’ora di smontare dal servizio per fare quello che si vuole, mentre essere poliziotto significa vivere da poliziotto, informare tutta la propria vita ai principi di lealtà, correttezza, rispetto della legge e degli altri.
Tina Montinaro è anche lei un simbolo; lei che ha raccolto l’eredità del marito e con questo suo diffondere il messaggio della legge, fa sostanzialmente vivere suo marito da 23 anni; suo marito è vicino a lei, sta per tornare a casa dall’ennesimo servizio senza orario e senza protezione, con quell’umanità e quella schiettezza che egli mostrò in una intervista rilasciata poco tempo prima di morire e che stasera abbiamo potuto vedere e ascoltare anche noi. Una testimonianza confermata da quel don Ciotti, che nel 2013 fu ospite di Prospettiva Famiglia, insegnandoci quanto sia importante che tutti noi facciamo squadra nel diffondere i valori di legalità e di rispetto (“E’ IL NOI CHE VINCE”).
La legge: la legge è fondamentalmente il rispetto dell’altro. Su questo Trevisi ci ha portato il racconto di un immigrato, richiedente asilo politico, che – proveniente dall’Africa – si presentava quotidianamente presso gli uffici della Questura e dopo un po’ che vi sostava cominciava a piangere come un bambino prima di fuggire via; così per più volte, finché un giorno, di fronte al suo scoppio in lacrime, una poliziotta avvicinò la mano alla fondina, estrasse la pistola e la posò per terra con la canna rivolta verso di sé. Di fronte a quel gesto, l’immigrato smise di piangere e, con l’aiuto di interpreti e assistenti, si scoprì che quella persona piangeva perché, con una pistola simile a quella di ordinanza, i suoi genitori e tre suoi fratelli erano stati uccisi in Africa nel suo paese natale; e dopo averli uccisi, gli avevano messo la pistola in bocca ed estraendola gli avevano rotto 4 denti; successivamente da quel paese, il giovane era riuscito a fuggire e alla Questura di Verona aveva ottenuto il permesso di soggiorno riservato ai richiedenti asilo politico. Si è rifatto una vita regolare qui da noi, lontano da quelle tragedie e da quegli orrori.
Ecco allora che quella poliziotta si può considerare un’eroina del quotidiano, come fortunatamente lo sono molti poliziotti.
La memoria: quando la parola è passata a Tina Montinaro è stato un susseguirsi di emozioni; lei si è modestamente definita solo la moglie di Antonio Montinaro, mentre noi sappiamo che è una donna forte, che ha cresciuto da sola due splendidi ragazzi che all’epoca avevano 1 e 4 anni, una donna che vive a Palermo per dire a chi – dello Stato o della mafia – la incontra, che lei continua a vivere dove suo marito ha perso la vita e che lei, a differenza loro, si può guardare allo specchio ogni mattina senza alcuna vergogna. Ha raccontato del rispetto che lei aveva per l’amore che suo marito provava per il proprio lavoro (“è il più bel lavoro del mondo” disse nell’intervista) e che proprio per questo, lei non avrebbe mai fatto pesare a suo marito la paura che – specie in quegli anni – lei e i suoi figli potevano provare in una città dove il principale fastidio dei palermitani non era la mafia, bensì il traffico e le sirene delle macchine della scorta …
Tina ci ha fatto chiaramente capire che non ha e non può nutrire una grande opinione dello Stato e delle Istituzioni; crede in esse perché vi credeva suo marito, ma lei ha vissuto da vicino il fatto che lo Stato, per mancanza di soldi, avesse lasciato la scorta di Giovanni Falcone senza alcuna protezione, specie su quel tratto autostradale. Lei vive tuttora le lungaggini e le pastoie burocratiche in cui affondano progetti come “Il giardino della Memoria” e rifugge quella che definisce “l’Antimafia da parata”.
Ma la memoria è ciò che conta; la memoria fa vivere suo marito Antonio, così come Rocco Di Cillo e Vito Schifani, gli altri due della scorta. La memoria è ciò che fa viaggiare ciò che resta della Croma coinvolta nell’esplosione; l’identificativo in codice di quella scorta (Quarto Savona Quindici) è stato ritirato dalla Polizia di Stato, così come si fa come chi è stato così grande da non poter essere imitato. Noi lo teniamo vivo grazie a ciò che resta di quell’auto.
A proposito di memoria, don Guido ha sottolineato il ricordo di don Bosco, di cui a fine mese ricorre il bicentenario dalla nascita. A distanza di 200 anni, lo ricordiamo come fosse uno di noi, uno che abbiamo lasciato stasera per venire a casa e che reincontreremo domani mattina.
Questo fiume in piena di sentimenti è stato percorso anche sulle note dei brani cantati dal coro dei commercialisti di Verona – i Modelli Unici – e sulle note sempre struggenti del “Nessun dorma” nella Turandot di Puccini, che stasera abbiamo ascoltato.
Ebbene, vigiliamo perché la legge sia rispettata, teniamo alti i nostri cuori in onore di chi ha fatto un gesto di grandezza estrema, accompagniamo i nostri ragazzi e facciamoli camminare sulle strade ampie e luminose del rispetto per gli altri; in altre parole, siamo attenti a condannare ogni furbizia e ogni pertugio dove arriva il male, l’odio e la meschinità.
Nessun dorma.
Per PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO