SCUOLA PER GENITORI 2022-2023
NOI: LA RELAZIONE TRA RAGAZZI E CON GLI ADULTI
dr.ssa Cristina Albertini
Incontro con collegamento on line – 19 gennaio 2023
L’incontro di questa sera è dedicato al fondamentale tema della “relazione”; quella che i giovani allacciano fra di loro e quella che tessono (o talvolta si rifiutano di tessere) con gli adulti. A trattare il tema una figura di assoluto livello come la dr.ssa Albertini, che ha tratteggiato questi giovani con parole di grande tenerezza e di grande attenzione verso coloro ai quali noi genitori dovremmo passare quella “eredità” di gesti, comportamenti e ideali e che non sempre però portiamo a termine con la dovuta accortezza ed il dovuto impegno.
La dr.ssa Albertini sottolinea come spesso si percepisca quasi epidermicamente il bisogno di relazione che il giovane manifesta o comunque il suo disagio per la mancanza di relazione, intesa come confronto foriero di crescita reciproca sul piano della personalità, del carattere e della cultura. La differenza di comportamento si nota già nell’infanzia allorché notiamo bambini molto chiacchieroni e altri invece molto riservati, che si nascondono; bambini che non vedono l’ora di entrare nelle case altrui, altri che non escono dalla propria. Ciò dipende solo in parte dall’indole del soggetto, molto dipende invece dall’ambiente e dal codice familiare. Nell’adolescente noi notiamo le modalità di relazione, che sempre più dipendono dall’ambiente esterno.
Non possiamo fare confronti con l’epoca in cui noi siamo stati adolescenti perché adesso il mondo è cambiato ed è decisamente più complesso. A noi spetta il compito di far notare al ragazzo che un comportamento di un altro o di un’altra può essere determinato da un sentimento e che anche il nostro comportamento spesso si scatena, nel bene e nel male, come effetto di un sentimento che è nato in noi o di un’emozione. Spesso ci troviamo di fronte a condotte che avremmo paura di adottare o che sicuramente non vorremmo fare. Dare a questi ragazzi il significato che dietro una situazione o un gesto, c’è un’emozione o uno stato d’animo, è un esercizio importante di maturità; ciò genera un terreno fertile che ha delle ripercussioni positive e consente addirittura di cambiare il tessuto sociale. E’ un’eredità, un codice di comportamento che migliora la società.
Spesso i ragazzi non sono consapevoli dei cambiamenti che gli accadono; allora è il genitore che deve renderli consapevoli, informarli di ciò che sta accadendo e aiutarli a prendere coscienza delle cause primigenie di questo o quel comportamento.
E’ un lavoro faticoso, ma bisogno aver voglia di farlo perché è un passaggio, un codice, un’eredità che viene data a questi ragazzi e non la si può nemmeno copiare perché ognuno ha il suo. A volte, può capitare che il ragazzo voglia discostarsi da quel codice e ne cerchi uno nuovo.
Resta il fatto che I ragazzi hanno bisogno di essere instradati; noi dobbiamo rallentare, dargli la possibilità di vedere oltre il gesto, non dare spazio all’impulsività, immedesimarsi, fargli capire che la reazione o la condotta di un amico a volte potrebbe essere la loro. Solo mettendosi nelle scarpe dell’altro, si capisce che strada ha fatto.
Non è però solo la relazione familiare a determinare la condotta dei ragazzi: essi decidono spesso:
– o troppo presto, quando sono incalzati dalla famiglia;
– o a tempo debito quando invece gli viene data la possibilità di rallentare (prendersi l’anno sabbatico per es.) e quindi valutare con più calma ciò che accade.
Occorre metterli in condizione di accettare il polimorfismo, di digerire la trasformazione; se questo non si fa, essi cercano un modo di appartenere; spesso questo è il momento in cui i singoli cercano il branco; ma se il ragazzo non ha al suo interno quella ricchezza di contenuti e di valori che serve, rischia di diventare vittima del branco o comunque di non trovare una propria identità. In questo caso, troverà protezione nel branco, ma una volta solo tornerà ad essere spaventato e disorientato.
Un aspetto importante nella relazione è l’empatia; un aspetto che va a braccetto con la dignità. L’empatia oggi è diventata il “like” o l’imitazione, il riverbero, la riproposizione di un modo di fare, a volte anche all’infinito. Oggi i ragazzi non possono essere come eravamo noi proprio perché è cambiato il modo di stare insieme; se i social li aggregano, dov’è lo spazio del confronto, di ciò che hanno letto, di ciò che hanno visto fare? Dove e come possono esprimere il loro assenso o il loro dissenso? A volte questa valvola è lo scrivere di getto, replicare “d’emblée” a una notizia o un’informazione o un evento, ma ciò è deleterio perché non ci si preoccupa (sbagliando) del peso delle parole, di ciò che sta dietro un’espressione o un’affermazione.
A volte sono ragazzi che magari che non escono da tanto tempo e che si trovano seduti per strada e, invece di parlare, si aggiornano con ciò che arriva sui loro social o mostrando il loro smartphone o sbirciando il mondo di qualcun altro, dal buco della serratura, guardando foto rubate al soggetto in questione, ma ciò ha un che di perverso; si condivide l’immagine, ma poi si resta in piccoli gruppetti selezionati e isolati di fronte a gruppi che non ti permettono di entrare. Decisamente più costruttivo il fatto di uscire a mangiare una pizza o bere qualcosa coi compagni di squadra e creare le premesse per momenti di confronto; ci sono ragazzi che fanno parkour o giocano con gli skate, ma poi si fermano ad ascoltare la musica o provano passi di danza o esercizi e nel far questo si confrontano, condividono un tempo, uno spazio, una risata, un sudore o semplicemente le cuffiette per ascoltare la stessa musica.
Come uscire da ciò? Ci vuole impegno da parte dei genitori, gestendo il concetto di “cura”, valutando ciò che ci appartiene e ciò che non ci appartiene, tenendo sempre in forte evidenza il concetto di empatia, ossia il mettersi nei panni altrui.
Ma l’empatia è strettamente legata alla dignità: ogni loro azione genera conseguenze in chi li osserva o comunque con loro si relaziona.
In questa nostra epoca è sempre più forte il concetto di performance.
L’imprenditore Brunello Cucinelli, che opera nel settore dell’abbigliamento, diceva che l’ispirazione ad avviare l’attività, gli è venuta dagli occhi lucidi del padre, il quale non si lamentava del salario basso o della fatica, ma dello sguardo che aveva per lui come di soggetto inetto e incapace; ciò ha fatto scattare in lui l’obiettivo che tutto ciò che avrebbe fatto, sarebbe stato in nome dell’altro.
“Famiglia” non è solo pensieri e responsabilità, rallentare l’ingresso nei problemi, ma anche tenere uno sguardo sull’onestà, che dà alla relazione un sapore di limpidezza, di pulizia e di trasparenza; che ci piaccia o no, qualunque sia l’interlocutore con cui siamo in relazione dobbiamo mantenere la massima onestà.
I ragazzi devono poter sentire che noi siamo convinti che diventeranno adulti. Spesso, invece, inconsapevolmente, gli mandiamo il messaggio che noi non riteniamo siano pronti a diventare adulti. Né vale fare confronti su come eravamo alla loro età, cosa che non si deve fare proprio perché i tempi sono cambiati radicalmente.
Forse siamo noi che vogliamo rivivere la nostra giovinezza tramite loro. All’apparenza vi sono famiglie che sembrano unite (stessi vestiti, stesso cellulare, stesso gergo, …), ma spesso è solo un’apparenza: queste situazioni fanno sorridere perché l’adulto nel tentativo di avvicinarsi a loro e di non sentirsi dire “ragioni come un vecchio, ti comporti come un vecchio” scimmiotta condotte tipiche dei giovani, ma ciò è chiaramente una semplice apparenza dietro la quale emerge tutta la vacuità e la mancanza di personalità forti e sicure che dovrebbero essere patrimonio di un adulto. Ecco allora che questi nuclei familiari più che fusi sembrano … confusi.
Guai comunque a voler cancellare il passato. Faremmo sicuramente un errore perché il passato ci ha insegnato parecchio, ci ha passato delle regole che noi a nostra volta dobbiamo passare attraverso la discussione, il confronto fra punti di vista differenti; l’importante è che il confronto diventi decisione e non resti in sospeso.
Voler passare per una relazione paritetica (“io sono amico di mio figlio”, “io sono amico degli amici di mio figlio”) è un errore perché questi genitori sono gli stessi di quei bambini che a 18 mesi decidono come vestirsi, se allacciare le cinture di sicurezza, se mettere su la musica in macchina (così nessuno può più parlare …), genitori che gongolano davanti all’autonomia di questi bambini. In realtà in questi casi vi è un vulnus di fondo: questi genitori non dedicano ai loro figli il tempo necessario e ciò perché vogliono mantenere le loro abitudini e i loro piaceri. Non è che, in tal modo, i nostri figli diranno di noi quello che dicevamo noi dei nostri genitori (“non c’erano mai, non erano mai insieme a noi”).
Quanto ci metteranno i ragazzi per capire qual è la scelta giusta per loro, di cosa dovranno parlare a questi genitori che chiedono di entrare nel loro mondo, che cosa diranno a quei genitori che non hanno mai trovato il tempo di raccontare la loro storia? Ci sono tanti ragazzi che sanno davvero poco della storia e della vita dei loro genitori-
Ci si lamenta che i giovani si chiudono in camera, ma qualche volta al genitore fa anche comodo che si chiuda nella sua stanza; invece dovremmo essere vicini a loro, sorprenderli con un bacio, magari ci rifiuteranno, ma sotto sotto saranno riempiti da questi gesti di affetto.
Anche gli adulti sono diventati molto freddi e scostanti; anche di fronte ad una persona affannata e ansiosa che cerca spasmodicamente qualcosa nella sua borsa, nessuno si propone dicendo “se deve chiamare qualcuno, ecco il mio cellulare”. Questo è ciò che facciamo nella grande maggioranza dei casi. Ma allora come possiamo pensare che un ragazzo ci venga a confidare che la sua ragazza non sta bene o che un suo amico ha un grosso problema?
Ultimo aspetto importante è il fatto che negli ultimi anni sembra essere molto migliorato il rapporto coi nonni: molti ragazzi manifestano il piacere di andare a pranzo dai nonni o semplicemente di passare a visitarli, così come manifestano la paura di perderli. Se devono pensare a un albero, questo è su una strada percorsa insieme ai nonni.
E’ strano perché sono ragazzi che non si telefonano, non si chiamano, mentre coi nonni si video-chiamano, si sentono; c’è una distanza maggiore rispetto a quella che si ha con i genitori, ma forse proprio per questa distanza non ci sono finzioni; i nonni non fanno domande con secondi fini come fanno gli adulti, che si dimostrano curiosi e nemmeno aspettano la risposta; i nonni invece sono lì. Dedicati, proiettati con uno sguardo aperto e fisso per cogliere altri segnali che i ragazzi danno con il loro sguardo e la loro postura.
I nonni mostrano spesso molta lucida verità sul fatto che se ne andranno, fanno capire ai loro nipoti che presto se ne dovranno andare, ma proprio in questo momento di relazione, con le parole giuste, le parole vere, gli dicono che li porteranno sempre con sé e lasceranno loro qualcosa di sé proprio perché li hanno avuto con sé.
I nonni devono continuare a fare i nonni, non fare domande scontate e vuote, ma domande sincere (“ti vedo stanco”, “hai dormito stanotte?”); questa loro sincerità vene molto apprezzata. Sicuramente non devono tentare di sostituirsi ai genitori.
I ragazzi segnalano spesso che non parlano con i genitori in quanto, secondo loro, i genitori non sono veramente interessati a loro.
I ragazzi portano il bisogno di essere ascoltati, non interrotti; se un ragazzo non vede l’ora di buttare fuori ciò che sente, non bisogna interromperlo, non bisogna intervenire finché lui non ci chiede “ma tu cosa ne pensi?”. Essi stanno cercando di trovare le parole giuste, mentre noi li stronchiamo quando interveniamo prima del tempo, li interrompiamo. Non dobbiamo necessariamente dargli ragione, ma è sufficiente prendere tempo e dire “non ho la risposta, dammi il tempo di pensarci sopra”. Se li interrompiamo non capiremo cosa hanno veramente dentro, non capiremo il tarlo che hanno dentro e che li fa star male. Spesso li ascoltiamo, ma non per dargli la possibilità di svuotarsi con noi, bensì perché pensiamo ad una soluzione: ma ascoltarli non vuol dire dargli la soluzione, vuole solo dire dedicargli tempo e fare proprie le loro emozioni, le loro paure e le loro incertezze.
Grazie di cuore alla dr.ssa Albertini che ha mantenuto incollati allo schermo più di sessanta ascoltatori per carpire i segreti per portare a termine in modo degno il gravoso impegno dei genitori.
Nel prossimo incontro ci troveremo in presenza presso il Centro Civico “N.Tommasoli” il 9 febbraio p.v. alle 20:45 col dr. Doriano Dal Cengio.
Cordiali saluti.
Ass. PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO