Ciclo di incontri sulla geopolitica
U.S.A.
A POCHE SETTIMANE DALLE PRIMARIE,
IN VISTA DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI DI NOVEMBRE 2024
avv. Mattia Magrassi
Centro civico N. Tommasoli 6^ Circoscrizione – 31 ottobre 2023
Video:
Innanzitutto, ringraziamo la VI Circoscrizione – rappresentata dalla Presidente Rita Andriani – con cui stiamo conducendo questo ben riuscito ciclo di incontri.
Stasera diamo uno sguardo a ciò che succede negli Stati Uniti d’America, un Paese il cui peso non può essere ignorato quando si parla di qualunque evento accada nel nostro pianeta e lo facciamo con una relatore d’eccezione, ossia l’avv. Magrassi, il quale non solo si occupa – come Presidente di Limes Club Verona, la nota rivista che pubblica periodicamente articoli e commenti con particolare riferimento agli USA – ma vive da vicino quando accade a Washington e dintorni. Solo un paio di settimane fa, faceva jogging a Central Park, in mezzo ai newyorchesi, proprio per carpire l’aria che si respira negli States a poche settimane dalla prima consultazione elettorale (le “Primarie” inizieranno il 15/1/2024 nello stato dell’ Iowa, passando per il 5 marzo (“Super Tuesday”) dove molti degli Stati USA saranno chiamati a scegliere i proprio candidato).
La situazione che ci ha illustrato l’avv. Magrassi è quella di una sistema bipartitico, dove –ancorché vi siano questi due grandi ed opposti monoliti – in realtà, all’interno di ciascuno, si sviluppano situazioni di forte contrasto e di instabilità. Sul lato democratico, vi sono correnti molto diverse, con i fedelissimi di Bernie Sanders, “molto, molto a sinistra” che osteggiano il candidato principale, ossia il Presidente USA in carica, Joe Biden; sul fronte repubblicano, vi è un personaggio particolare e scomodo, ma che in questo momento raccoglie i maggiori consensi di chi vota per “il partito di Lincoln”, ossia Donald Trump e dopo di lui, il nulla, nel senso che gli altri candidati sono molto lontani dal poterlo insidiare; lo stesso Ron De Santis, governatore della Florida, viaggia su livelli di consensi che in questo momento non possono pensare di insidiare la leadership repubblicana). Innanzitutto, occorre tenere presente che chi vince le elezioni presidenziali USA è colui che vince nei singoli Stati e raccoglie un numero di voti superiore a 270; ogni Stato fornisce un numero di voti diverso in funzione della popolazione (la California (54) ed il Texas (40) sono quelli che forniscono più punti, mentre il Montana o il Wisconsin danno solo 3 voti).
Ogni voto corrisponde ad un seggio nella Camera dei Rappresentanti. Ecco quindi che può capitare, per effetto di questo sistema maggioritario in cui vince le elezioni chi si aggiudica il maggior numero di Grandi elettori, che la maggioranza dei voti degli americani non corrisponda al risultato finale.
Siamo passati poi a parlare delle elezioni di Mid Term, quelle che si sono svolte nel 2022 e che hanno dato un risultato negativo per Biden: una Camera dei Rappresentanti passata a maggioranza repubblicana ed un Senato fifty-fifty con 50 senatori repubblicani e 50 democratici, dove a prevalere è il peso del voto del vice-presidente.
D’altronde, non è un segreto che l’apprezzamento per l’attuale presidente sia andato in calo e, come ha ben mostrato l’avv. Magrassi, il numero di coloro che disapprovano l’operato del presidente ha incrociato (break even) e superato il numero di coloro che invece ne approvano l’azione in quell’agosto 2021 in cui la Presidenza USA ha deciso il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan. L’umore degli americani è variabile, ma da quel momento il numero degli oppositori supera quello dei fautori di Biden.
Il fatto è – ci spiega Magrassi – che in questo clima di grande incertezza, ci sono due aspetti fondamentali da tenere presenti:
- I due candidati principali in questo momento sono ancora loro: Biden e Trump; nelle rispettive compagini, i restanti candidati sono lontani anni luce;
- Nelle elezioni presidenziali conta molto anche il fatto che “le elezioni sono vinte da uomini e donne principalmente perché la maggior parte della gente vota contro qualcuno piuttosto che per qualcuno”. E questo può chiaramente cambiare molto il risultato.
Sicuramente nessuno dei due candidati gode di grande prestigio: da una parte Trump, che pur essendo riuscito nel suo quadriennio di presidenza a far eleggere molti componenti della Corte Suprema, si deve gestire la bellezza di quattro impeachment, fra i quali uno dal Tribunale della Georgia, che gli ha vietato ogni commento sul procedimento giudiziale in corso; un divieto che Trump ha già violato, insultando a destra e a manca sul suo social network, ma che potrebbe anche costargli la reclusione; dall’altro lato, Joe biden che viene sbeffeggiato nelle vignette dove sale tre scalini e il padrone di casa gli chiede come ha fatto (evidente riferimento alle goffe cadute sulle scalette dell’aereo), che comincia ad avere un’età ragguardevole (alle elezioni di novembre 2024 compirà 82 anni) e che, da personaggio “interventista” è sicuramente danneggiato nei sondaggi dalle vicende della guerra Russia-Ucraina, così come dal conflitto israelo-palestinese.
A ciò si aggiunga che la vice Presidente USA, quella Kamala Harris di cui si diceva un gran bene e che avrebbe dovuto catalizzare il voto degli ispanici e della comunità nera, oltre ad essersi rivelata non all’altezza, non ha in questi tre anni ricoperto alcun ruolo di prestigio, né ha segnato in modo positivo l’attuale presidenza, attirandosi più di qualche giudizio negativo.
Trump a sua volta viene disegnato come un acrobata che dovrà gestirsi contemporaneamente una campagna elettorale, lunga, difficile e dispendiosa e al tempo stesso dovrà rispondere nelle aule dei tribunali per gli impeachment che gli sono stati rivolti. Un Trump, talmente sicuro di non avere rivale in ambito repubblicano, da rifiutare gli inviti ai confronti TV, con buona pace dei grandi network americani, che invece vedono nelle sue apparizioni, grosse occasioni di business.
Certamente, l’asinello, simbolo dei democratici e l’elefante, simbolo dei repubblicani, non godono di grande salute. Resta il fatto che anche un Paese grande come gli Stati Uniti non riesce ad esprimere un outsider degno di questo nome: nemmeno quel Robert Francis Kennedy Jr, pur esponente di una famiglia “storica” in America come i Kennedy e che alla fine ha deciso di correre come candidato indipendente, sembra avere chance di vittoria.
Insomma, grande incertezza e la quasi convinzione che alla fine, il vincitore la spunterà sul filo di lana. Questa situazione non è da apprezzare in un Paese dove il sistema è competitivo e quindi il vincitore prende tutto (“winner takes it all”); mentre nelle democrazie europee, infatti, si dà sempre uno spazio alle minoranze, negli USA “chi vince piglia tutto” ed i precedenti senatori o deputati prendono le loro valigie e tornano a cercarsi un lavoro nel privato.
Staremo a vedere.
A presto.
Ass. PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO