16^ stagione della Scuola per Genitori 2024-2025
EDUCARE I FIGLI A GESTIRE E TOLLERARE LA FRUSTRAZIONE, UNA DELLE EMOZIONI PIU’ POTENTI CHE INFLUENZANO LA COSTRUZIONE DELL’AUTOSTIMA DELLA PERSONA
Dr.ssa Arianna Favalli
Centro Civico “N. Tommasoli” – 14 novembre 2024
Video
Relazione:
Davanti ad un pubblico numeroso (circa 60 persone), la dr.ssa Favalli ci ha fatto capire che emozioni solitamente considerate negative, hanno invece – nella giusta misura – un effetto positivo sulla persona in quanto rappresentano una forza di allenamento alle situazioni difficili: allenamento che tornerà buono una volta che i ragazzi saranno diventati adulti e capiranno che il mondo non è, come si suol dire, tutto rose e fiori. La nostra brava relatrice è partita dall’etimo della parola (dal lat. frustratio – onis «delusione») ed ha fatto capire che la frustrazione, così come la noia, possono in realtà rappresentare un corroborante per la nostra personalità e possono aiutarci a rafforzare la nostra capacità di resistenza di fronte alle difficoltà che quotidianamente ci si frappongono. Come ricorderete, già nei precedenti incontri della corrente stagione della “Scuola per Genitori” era emersa questa tesi, ossia che la noia non vada allontanata con tutte le nostre forze, quasi fosse una maledizione, ma può considerarsi – ribadisco se vissuta nella giusta misura – come un modo per rinforzare la nostra capacità di gestire eventi avversi, oltre che per meditare e quindi fare nostra quella capacità, sempre più rara nei nostri ragazzi, di metabolizzare, approfondire e digerire gli argomenti che la nostra “infosfera” ci propone.
Una cosa che – come genitori – dobbiamo imparare rapidamente è quella di saper gestire la delusione; in una società che è passata nei decenni da solida a liquida e in qualche caso a gassosa, le relazioni si sono evaporate e la famiglia “normativa” della seconda metà del secolo scorso, ha lasciato il posto ad una famiglia affettiva. La dr.ssa Favalli ci fa però notare che, se è vero come è vero, che nella famiglia affettiva i genitori fanno l’impossibile per ridurre a zero i contrasti, gli scontri e le delusioni, come si può pensare che i giovani possano trasgredire? In un habitat dove tutto viene assecondato meravigliosamente (!?), in cui le regole sono molto blande ed in cui i confini sono spariti, che trasgressione volete che ci sia? Dalla trasgressione, il passaggio alla delusione dovrebbe essere breve; la delusione può derivare da varie motivazioni; può essere generata da una dilazione (quella cosa che desideravo, mi verrà data ma in un prossimo futuro) o da un mancato raggiungimento degli obiettivi (devo studiare per superare gli esami). Nel caso della dilazione, la dr.ssa Favalli ci fa notare quanto sia importante l’attesa; il criterio del “tutto e subito” è fortemente demotivante; quante volte ci siamo detti che l’attesa aumenta il valore dell’oggetto (che sia materiale o un viaggio o altro dono) e lo rende sempre più prezioso quanto più abbiamo dovuto attendere per averlo. Riceverlo “a comando” lo rende una cosa di scarso valore e quasi superflua. Chi ha i capelli bianchi può dire esattamente quale immenso valore diede alla sua prima bicicletta, che magari ha dovuto attendere per mesi o anni e che quando è arrivata aveva il sapere di una conquista universale. Le capacità che nostro figlio ha e utilizza cambiano ovviamente a seconda che consideriamo l’età infantile piuttosto che la fanciullezza o l’adolescenza: nei singoli stadi, a fronte di un comportamento del figlio, dovremo adottare modalità di intervento diverse: in un bambino inferiore ai 6 anni, le capacità sensoriali sono le più presenti e quindi non avrebbe senso fermarsi a spiegargli il motivo di una certa punizione che gli viene inflitta; tale modalità ha certamente più senso e più efficacia in un ragazzo che abbia superato i 12 anni; secondo le teorie di Jean Piaget (1896-1980), infatti, vi è una profonda differenza nella qualità di pensiero di un bambino rispetto ad un adulto, nella sua capacità cognitiva e quindi nell’intelligenza; resta, comunque, il fatto che fino ai 15 anni, il ragazzo fa le cose per piacere ai genitori e solo successivamente si rende conto dell’importanza di farle per se stesso.
La frustrazione quindi come metodo per rinforzare le nostre capacità di affrontare le difficoltà che un mondo sempre più competitivo, dove la performance è diventata il leit motiv, ci pone davanti. I genitori non abbiamo paura di mostrare le loro fragilità (che non vuol dire debolezza), diano il giusto supporto ai figli e sappiano anche redarguirli alla bisogna. Uno dei temi emersi nel dibattito finale è stato proprio questo; dal 2010 – ci hanno fatto notare alcune docenti del Liceo Copernico-Pasoli – i genitori hanno vilmente rinunciato alla loro genitorialità; di questa mancanza, con genitori che dedicano ai propri figli sempre meno tempo e di scarsa qualità, ne hanno parlato le persone intervenute nel dibattito; la prof.ssa Galletta ha fatto notare come i ragazzi siano se stessi a scuola, mentre a casa indossano una maschera con i propri genitori. A scuola, specie dalla pandemia in avanti, i ragazzi manifestano sempre più esigenza di affettività, richiedono abbracci: probabilmente, quegli abbracci e quelle cortesie, quella intimità che a casa non ricevono. Ai genitori l’arduo compito di osservare i propri figli e di essere per loro un esempio di coerenza: come possiamo riprenderli per un uso eccessivo dello smartphone, se siamo noi i primi a trascorrere ore ed ore con questo strumento in mano? Impariamo a calmierare il tempo che passiamo al cellulare e poi cerchiamo di porre le regole ai nostri figli e magari, il tempo così recuperato, trascorriamolo con loro per conoscerci e per condividere speranze, difficoltà e gioie. La dr.ssa Favalli ha fatto notare quanti ragazzi sono stati “salvati” grazie al Centro di Ascolto predisposto a scuola: una cosa nemmeno ipotizzabile quando andavamo a scuola noi. E qui sta il nocciolo di tutta la faccenda: saper ascoltare e saper ascoltarsi. Quando “ascoltiamo” nostro figlio, non è un semplice “sentirlo”, ma significa propriamente fermarsi, guardarlo in faccia e fare nostre le sue considerazioni e ciò che ci sta comunicando. Analogamente, dobbiamo imparare ad ascoltarci, magari essendo anche un po’ più benevoli con noi stessi: meditare su ciò che siamo, ci aiuta a non ripetere gli errori e ci fa apparire un’immagine delle persone molto diversa da quella corrente. Nella routine, infatti, giudichiamo le persone per ciò che fanno, mentre logica vorrebbe che il nostro giudizio fosse costruito per ciò che le persone sono e non per ciò che fanno.
Al termine della presentazione, la prof.ssa Galletta ha fatto notare che è comunque sempre preferibile la frustrazione all’indifferenza: la frustrazione, proprio perché fa male, ci induce a trovare la soluzione, a fare meglio, a migliorarci: in sostanza, ci spinge ad agire e a trovare una soluzione. Se da questo stadio, dovessimo passare all’indifferenza, sarebbe invece la fine: l’indifferenza ci rende apatici, le sconfitte non ci inducono al riscatto, gli errori non vengono percepiti come qualcosa da evitare. Per migliorare noi e i nostri figli, dobbiamo diventare per loro – pur con tutti i nostri difetti e i nostri limiti – un esempio da emulare; abbandoniamo comportamenti tossici e cerchiamo di instaurare relazioni sane, semplici e chiare. Se ne gioverà nostro figlio e ne gioveremo anche noi. Ricordiamoci, infatti, che è solo affrontando le difficoltà (e non ignorandole) che cresciamo come uomini e donne e come genitori; un mestiere difficile, pieno di insidie, che può costare cocenti delusioni, ma che dobbiamo riprendere in mano e fare del nostro meglio per essere vero esempio. Costa fatica, tempo, sacrifici e anche qualche boccone amaro, ma dobbiamo farlo per essere migliori noi e per instillare nei nostri figli il concetto che le conquiste si fanno ogni giorno anche con piccoli, ma importanti gesti in famiglia; sarà difficile, sarà faticoso, ma vale la pena farlo per essere migliori: per aspera ad astra.
A presto.
Ass. PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO