CONTESTI GEOPOLITICI INTERNAZIONALI
Trump e i nuovi equilibri geopolitici mondiali
prof. Stefano Verzè
Sala Circoscrizionale – Quartiere Stadio – 3^ Circoscrizione – 18 marzo 2025
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CONTESTI GEOPOLITICI INTERNAZIONALI
Trump e i nuovi equilibri geopolitici mondiali
prof. Stefano Verzè
Sala Circoscrizionale – Quartiere Stadio – 3^ Circoscrizione – 18 marzo 2025
Nel primo incontro di questo ciclo, ci siamo soffermati sull’effetto Trump nella politica interna e sul fatto che gli americani hanno votato “di pancia”: di fronte a dati macroeconomici molto buoni e con un’inflazione ampiamente sotto controllo, gli americani hanno deciso di votare il candidato Trump che nella sua campagna elettorale ha affermato con convinzione che avrebbe da subito applicato i dazi sulle importazioni; una manovra, questa che – come tutti sanno – è la miglior scintilla per far deflagrare l’inflazione. Oggi invece, sempre grazie alla conduzione preparata e lucida del prof. Verzè, andremo a vedere gli effetti che questa elezione ha e potrà avere in futuro sul resto del pianeta.
Dopo i saluti della dr.ssa Agnoli, il prof. Verzè fa notare che proprio in questi giorni un giudice federale degli Stati Uniti ha segnalato che Trump non poteva ordinare il trasferimento a San Salvador dei migranti clandestini venezuelani. La vera notizia, tuttavia, è che Trump “se ne frega” di questa sentenza del giudice e va dritto per la sua strada; un atteggiamento, questo del neo presidente americano, che per il nostro relatore rappresenta uno dei tanti passi verso l’autoritarismo, tanti piccoli passi, spesso impercettibili o apparentemente insignificanti, salvo poi trovarsi fra qualche mese o anno, di fronte a una limitazione totale dei diritti individuali.
Forte spinta al sovranismo e al nazionalismo, spinte che in ogni caso sono da qualche tempo diffuse anche in Europa e che rappresentano una spinta esattamente contraria a quella necessità di unione e di coesione di cui invece l’UE avrebbe bisogno. Le spinte nazionalistiche sono piuttosto forti in molti Paesi dell’UE: tralasciando l’Ungheria, dove da ormai da qualche anno Orban la fa da padrone, spinte sono presenti in Austria, in Germania con l’AfD (Alternative für Deutschland), movimento con forte impronta nazionalista, ma anche Vox in Andalusia, o il partito di Marine Le Pen in Francia. Sì, insomma, basta che fra due anni, quando si terranno le elezioni in Francia, vincano i “lepeniani” e potremmo dire serenamente “bye bye Europa”.
Di fronte a tutte queste situazioni che fanno dell’Europa un misto fritto, proprio nel momento in cui sarebbe di fondamentale importanza essere coesi (si pensi alle modalità del riarmo o alla necessità di organizzare truppe di terra in soccorso dell’Ucraina, con 27 Paesi non ancora perfettamente uniti e quindi 27 eserciti che si muovono in modo non coordinato…), ci troviamo tre grandi blocchi geopolitici: USA, Russia e Cina. Una spartizione a tre del pianeta che – finché ci sarà torta da spartire – potrebbe anche fare tutti contenti, ma nel momento in cui le fette di torta dovessero finire, allora sì che si comincerà a pestarsi i piedi. Il tutto in un’atmosfera in cui il confronto politico si fa muscolare; in un momento in cui – per la prima volta dopo tre anni di guerra – si fa qualche passo concreto verso la pace con una tregua, per ora, sugli impianti energetici.
I due contendenti USA e Russia sono per la prima volta affiancati alla ricerca di una pace che, però, non sappiamo quanto duratura; si farà la pace, lasciando alla Russia sia il Donbass che la Crimea? Sarebbe una pace giusta? Al momento nessuno lo può dire; il timore certamente è che cedere queste porzioni di territorio sia un po’ come l’aver consentito nel 1938 che le truppe naziste occupassero i Sudeti, ossia l’area della Cecoslovacchia, che all’epoca era fortemente occupata da persone di etnia tedesca. Fu una soluzione? Come disse Churchill, non ancora primo ministro, fu il primo passo verso una carneficina, ossia quanto accadde con la II^ Guerra mondiale.
Perché si paragona la cessione del Donbass alla cessione dei Sudeti alla Germania del 1938? Perché sappiamo tutti che a Putin non interessa specificamente il Donbass o la Crimea: sì, è vero, un accesso ai “mari caldi” torna sicuramente utile, ma a Putin non interessano particolarmente l’accesso al Mar d’Azov e poi al Mar Nero o la Crimea. Sì, è vero, sono aree a prevalenza di popolazione russa, ma teniamo presente che Putin ha bisogno della guerra: in un Paese che ha fatto dell’identità imperiale un dogma, che sostiene il motto “Dio, Patria, Famiglia”, in un Paese che investe il 30% del PIL in armi e difesa, ciò che va detto è che Putin necessità di queste spinte, in quanto – in mancanza di esse – si tornerebbe alle urne – ricordo che Putin è qui al suo posto dal 1999 (26 lunghi anni) – mentre Putin vuole “togliere questo onere” al suo popolo.
Quando egli dice e ripete “Russkiy Mir” (il mio mondo russo), lo fa perché per la sua personale permanenza, serve che i russi siano uniti, che maturino l’idea che vari figli morti nella guerra sono un dono per la Nazione e un grande onore per la famiglia che li ha persi: sì, insomma, serve che la propaganda (mezzi di informazione, pubblicità, quiz a premi in TV…) diffondano sempre più questa forma mentis. Compare allora l’incubo che Putin non si fermerà al Donbass e alla Crimea, ma cercherà di occupare altre aree (le Repubbliche Baltiche, tanto per incominciare), approfittando dell’intenzione di Trump di ritirare l’ombrello NATO a difesa dell’Europa.
Se Trump vive pericolosamente e perennemente costretto a mandare messaggi, salvo poi rimangiarseli a distanza di pochi giorni (dazi sì/no, ci prendiamo la Groenlandia sì/no, occupiamo il Canale di Panama…), Putin è anch’esso continuamente sotto l’esigenza di consolidare il suo potere.
Chi vive invece sereno e tace come un angioletto è in questo momento Xi Jinping, convinto com’è oramai da anni che il sistema capitalista sia destinato ad implodere in quanto contenente il virus dell’autodistruzione e quanto sta attuando Trump è, secondo il Partito Comunista Cinese, esattamente quanto necessario per spaccare l’Occidente.
A questo punto e in attesa di vedere se i negoziati riusciranno veramente a generare una pace duratura, non ci resta che darvi appuntamento fra una settimana, dove andremo ad analizzare i rapporti di Trump con Netanyahu ed il rapporto che Trump vorrà tenere con Israele fra vantaggi e limitazioni nel sostenere questa “testa di ponte” (Israele) nel bel mezzo del mondo arabo.
A martedì 25, sempre in via Sogare 3.
A presto.
Ass. PROSPETTIVA FAMIGLIA