Il 65,7% dei ragazzini sopra gli 11 anni consuma almeno una bevanda alcolica all’anno; il 26,3% della popolazione beve alcolici quotidianamente, il 38,4% almeno una volta fuori pasto. Il 16,1% della popolazione sopra gli 11 anni ha comportamenti a rischio. A rilevarlo sono gli ultimi dati Istat (aprile 2011), dalla cui lettura, la psicoterapeuta Maria Rita Parsi, giovedì sera al Teatro Comunale con La Scuola per Genitori organizzata dalla Confartigianato, è partita per affrontare il problema delle dipendenze giovanili. «I ragazzini si attaccano alla bottiglia perché non hanno avuto il biberon», ha sintetizzato. Alcol sì, ma anche droghe, fumo, cibo, videogiochi, palestra. «Tutte in aumento – spiega la Parsi – e tutte frutto di vuoti d’amore e della paura dell’abbandono e del distacco. Le dipendenze ci sono – insiste – perché manca la capacità di essere autonomi». Non si tratta di essere «bamboccioni o sfigati», ma di crescere senza il contenitore «dell’amore, dell’abbraccio. I ragazzini diventano dipendenti da qualcosa perché reclamano la dipendenza da qualcuno».
Si ricorre così all’uso di alcol, «che funge da antidepressivo»; di anabolizzanti «per dimostrare di essere forti e saper tenere il mondo in mano»; al rifiuto del cibo, «per convincersi di non averne bisogno»; all’eccesso di cibo, «perché il mondo fa schifo e allora butto dentro tutto»; di videogiochi, «per esprimere la propria aggressività appellandosi alla serietà del rispetto delle regole»; a Internet «dove si consumano storie di amore e di amicizia con persone che non si conoscono»; al procurarsi ferite sulle braccia, «per sentire il proprio corpo». Di qui l’invito della Parsi a ‘monitorare’, imparando ad usare i social network, «perché voi dovete andare a verificare come si raccontano i vostri figli, cosa dicono di voi, non si tratta di violazione della privacy. Voi dovete essere formati e informati, altrimenti non potete fare né prevenzione né controllo. L’amore non basta». La Parsi ha lanciato un vero e proprio allarme. «Le dipendenze non sono una debolezza, ma una malattia che comincia nella coppia. Può finire l’amore coniugale, ma non debbono cambiare i ruoli e la ricerca dell’armonia, altrimenti i figli non ce la fanno». I segnali secondo la Parsi ci sono. «Non esistono bambini pigri, silenziosi, capricciosi. Esistono bambini depressi, riluttanti, avviliti, spaventati, che non riescono a trovare il canale comunicativo con voi». Le dipendenze si creano in casa, questo è il succo, e sono perlopiù causate dalle assenze: «I figli hanno bisogno del vostro tempo e delle vostre parole. Se siete in crisi con loro, avete in realtà un’opportunità, quella di capirli, di chiedere, rispettando i loro tempi, perché i ragazzini esternano il proprio dolore a modo loro, magari tirando una palla di carta che in quel momento rappresenta la bomba da lanciare a chi ritengono causa del loro problema». La chiosa: «L’unica dipendenza buona da cui non ci si deve liberare è quella dell’amore di un genitore per un figlio”