Ecco dove morì la scorta di Falcone
La vedova di un agente: «La gente deve vedere e capire a che punto arriva la barbarie dell’uomo»
Erano le 17.58 del 23 maggio 1992 quando sull’autostrada A29, da Capaci a Palermo, persero la vita, dilaniati da 400 chili di tritolo, il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo che tornavano da Roma e i tre agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Furono questi, anzi, a saltare in aria per primi e ad essere scaraventati, con i resti dell’auto su cui viaggiavano, a centinaia di metri di distanza.
E sarà proprio quella vettura diventata irriconoscibile, un groviglio inestricabile di lamiere carbonizzate, ad accogliere chi venerdì sera parteciperà all’incontro in programma alle 20.45 al Teatro Alcione, voluto dalla rete Prospettiva Famiglia in collaborazione con la parrocchia di Santa Croce nell’ambito dei progetti di educazione alla legalità e cittadinanza consapevole, rivolto a genitori, educatori e giovani.
All’ingresso del teatro, infatti, sarà esposta la teca con quel che resta della Fiat Croma blindata, finora custodita nell’autoparco della polizia di Messina, ma che di recente, in qualche modo, è tornata a correre, anche più di prima, su e giù per l’Italia.
A chiedere il permesso per muovere il relitto è stata Tina Martinez Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone, da 20 anni impegnata in una battaglia infinita per la realizzazione del «Giardino della Memoria» proprio nel punto dove è avvenuta la strage.
«È importante che la gente veda l’auto dove morirono Antonio, Vito e Rocco: aiuta a non dimenticare e a capire fino a che punto può arrivare la barbarie dell’uomo», spiega Tina, che è Presidente dell’Associazione per i Diritti Civili Quarto Savona Quindici, nome in codice della storica squadra della Polizia di Stato che proteggeva il giudice.
Accanto a lei sul palco, venerdì, ci sarà Gianpaolo Trevisi, direttore della Scuola di Polizia di Peschiera, dove l’auto è già stata esposta e dove Tina ha già portato la sua testimonianza davanti agli allievi agenti.
La moglie-coraggio e il poliziotto-scrittore proveranno, insieme, a raccontare cosa significhi «Essere la Legge e lavorare per la Legge, ma saperlo fare con il cuore». Una differenza non da poco. Anzi, una differenza abissale. «Come quella», sottolinea Trevisi, «che c’è tra Giustizia e Legge». E.PAS.