Percorso di formazione nell’ambito Storico-culturale
“GIORGIO PERLASCA, GIUSTO TRA LE NAZIONI
10 febbraio 2015 – Centro Civico “N. Tommasoli”
Relatori:
– il figlio, Franco PERLASCA
In collaborazione con l’Istituto Veronese di Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, si è svolto stasera l’incontro con Franco Perlasca, figlio del protagonista di una delle vicende più incredibili della Seconda Guerra mondiale.
50 persone ad ascoltare Franco Perlasca, mentre raccontava la storia di suo padre. Uno che ha rischiato la vita, ma non è un eroe; uno che poteva approfittare del salvacondotto per fuggire in Spagna e non l’ha fatto e non è un eroe. Uno che si è spacciato per ambasciatore spagnolo a Budapest, salvando la bellezza di 5.200 ebrei, eppure non è un eroe. No, non è un semplice eroe; egli è molto di più: è un “Giusto tra le Nazioni”, la massima onorificenza riconosciuta dal Tribunale del Bene ebraico (Yad Vashem) a chi ha salvato la vita di almeno un ebreo.
Ma non basta: occorre – come nella storia dei 36 giusti – che chi ha realizzato del bene, una volta terminato il pericolo, ritorni nell’ombra con la convinzione di aver fatto “solo” il proprio dovere.
Certo che la storia di Giorgio Perlasca ha veramente dell’incredibile.
Un funzionario di un’azienda di importazione di carne bovina, che si ritrova a Budapest verso la fine del 1944 con un ambasciatore spagnolo che lascia il Paese, dopo la rottura dei rapporti diplomatici fra la Spagna e l’Ungheria, a seguito dell’alleanza di quest’ultima con la Germania nazista. Giorgio dispone anche di un salvacondotto, rilasciatogli dall’ambasciatore spagnolo prima della sua fuga, affinché lui stesso possa lasciare indenne l’Ungheria. E invece?
E invece succede che un uomo semplice, un anti-eroe, un uomo apparentemente “comune” non ci sta a vedere minacciata la vita di migliaia di ebrei ungheresi, marchiati con la stella gialla a sei punte cucita sul davanti e sulla schiena del cappotto, pronti ad essere caricati come animali sui carri ferroviari destinati ai famigerati campi di sterminio. Egli si presenta alle autorità tedesche come delegato dell’ambasciatore e comincia a sfilare alle grinfie delle SS le persone che riesce a salvare, attribuendogli la nazionalità spagnola. Tali persone vengono via via stipate nelle “case protette” di Budapest, dove occorre vigilare continuamente per evitare che la Wehrmacht possa irrompere e rapire – infiascondesene degli accordi – persone, che poi quasi certamente non si rivedranno più. Queste persone vivono stipate come topi, ma almeno vivono. E mentre sono lì, egli si preoccupa di procurargli i generi di prima necessità, acquistabili in quel periodo a prezzi esorbitanti al mercato nero.
Cerca di portare nell’area dell’ambasciata quante più persone, sottraendole – per il principio dell’extraterritorialità – alle deportazioni naziste. Adotta vari stratagemmi con gli ufficiali tedeschi, affinché venga garantita l’incolumità alle persone alle quali egli fa attribuire cittadinanza spagnola e non solo. E succede così che più di 5.200 persone sfuggono alla morte, grazie a quest’uomo, al suo coraggio, alla sua grandissima umanità.
Ma quel che più lascia di stucco è che costui, una volta fatta un’azione tanto coraggiosa ed eroica, non solo non se ne vanta, ma torna alla sua vita semplice di prima della guerra, limitandosi a scrivere – quasi a volersi giustificare – un memoriale che invierà al Governo spagnolo, a quello italiano e una terza copia per sé stesso, in cui dichiara che ogni azione da lui condotta sotto le vesti spagnole è stata condotta non per interesse personale, ma solo per salvare la vita degli ebrei ungheresi.
Ritorna quindi nella sua città di Padova, dove tra l’altro si ritrova senza lavoro (con l’accusa di aver abbandonato il posto di lavoro …) e ricomincia la sua vita normale come ispettore alle vendite della Liquigas.
Solo le ricerche condotte molti anni dopo da alcuni ebrei che cercavano un fantomatico personaggio spagnolo di nome Jorge Perlasca, consentirà di scoprire che quell’uomo è un italiano e si chiama Giorgio.
Perché questa storia non è stata resa nota prima? Beh, le motivazioni sono tante. Dall’autore non poteva uscire perché la sua natura di “giusto” gli impediva di farsi vanto di un’azione umanitaria – pur così immensa – da lui condotta; dai governi non è emersa perché, come tutti sappiamo, non basta dichiarare la fine di una guerra per tornare d’emblée allo stato normale delle cose; ancora per molto tempo, vi sono cose che non sono politically correct, che è meglio non citare e meglio non riportare a galla; ci sono ancora troppe persone vive a cui certe notizie potrebbero dar fastidio. Sarebbe come pensare che in Argentina, terminata la dittatura, si fosse potuti tornare alla normale democrazia già dal giorno successivo …
E infine, gli stessi ebrei dovettero superare ancora molte vicissitudini (vedi la cortina di ferro e il Muro di Berlino che separavano i Paesi filo-occidentali da quelli filo-sovietici) prima di potersi muovere liberamente nello spazio europeo e prima di vedere completamente terminata la loro odissea.
Oggi un grande albero a lui intitolato campeggia nelle colline intorno a Gerusalemme e soprattutto molti discendenti delle persone che lui ha salvato, portano nella memoria il suo nome; un po’ come altri ricordano il nome di Schindler.
Qui in più vi è – ed è gigantesca per quanto è forte – una umiltà d’animo oltre ogni limite, una totale assenza del desiderio di vantarsi di ciò che ha fatto, un sentimento che gli fa dire che ciò a cui assisteva avrebbe indotto chiunque a comportarsi così. Ma noi sappiamo che non è vero che chiunque lo avrebbe fatto; solo gli uomini con una forte coscienza civile, con un grande senso di solidarietà umana, con un senso della vita così forte avrebbero rifiutato di portarsi in salvo in territorio neutrale mentre l’Europa veniva sconvolta dal conflitto per restare a difendere migliaia di ebrei e con il rischio di vedersi arrestati da un momento all’altro dalle Schutzstaffeln tedesche, le odiate SS.
Solo nel 1988, Franco Perlasca si rese conto di avere un padre che poteva definirsi un “giusto”, quando alcune donne ebree gli fecero visita e raccontarono in un italiano stentato quali e quanti atti eroici aveva compiuto sotto l’egida della bandiera spagnola a Budapest.
Non possiamo che dire davvero “grazie” a Franco per averci portato l’esperienza straordinaria di suo padre; un’esperienza raccontata stasera anche dal filmato di Alberto Angela che, come Franco, ha scoperto solo molti anni dopo che suo padre Carlo Angela, è stato anch’egli un “giusto fra le nazioni”.
Un “grazie” infine alla Prof.ssa Silvia Pasquetto, nostra referente nell’ambito storico-culturale e a Federico Melotto, Presidente dell’Ente veronese per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea che ci hanno permesso di conoscere Franco Perlasca, messaggero della straordinaria storia di suo padre.
La presenza in sala di molti giovani ci deve convincere che quanto ha fatto Giorgio Perlasca serva da esempio a tutti loro e a tutti noi e che faremo di tutto affinché non si creino le condizioni di esperienze altrettanto drammatiche.
ASCOLTA QUI L’AUDIO IN MP3 DELL’INCONTRO
A presto.