Progetto di Educazione alla cittadinanza consapevole
DOMENICO QUIRICO
“IL DIRITTO DI ESSERE INFORMATI E IL DOVERE DI INFORMARSI. LETTURA CRITICA DELL’INFORMAZIONE”
20 febbraio 2015 – I.T.E.S. “Aldo PASOLI”
Relatore:
– dott. Domenico QUIRICO, giornalista
Aula Magna dell’ITES “Aldo Pasoli” gremita da circa 500 persone per ascoltare il giornalista Domenico Quirico, accompagnato dal Direttore editoriale della casa editrice Neri Pozza, il dott. Giuseppe Russo. Una serata in cui Quirico non ha tradito le attese, dandoci il suo personale concetto di “fare giornalismo”, oltre che la sua visione della realtà che si vive e si respira sia qui in Europa e sia in quelle vaste aree del pianeta, oggetto di fermenti e di movimenti di popoli spesso irruenti e cruenti alla ricerca di una nuova riorganizzazione geo-politica o semplicemente alla ricerca di nuovi destini per uomini e donne, martoriati dalla povertà, dalla sofferenza e dalle guerre.
Dopo la presentazione della responsabile del progetto di Educazione alla cittadinanza, dott.ssa Stefania Zivelonghi e la descrizione che del nostro protagonista ha fatto l’editore Giuseppe Russo, avvalendosi anche della lettura di una pagina del libro di recentissima pubblicazione “Il grande califfato”, la parola è passata a Domenico Quirico. Egli ci ha ricordato come l’aspetto saliente del suo mestiere, non sia tanto l’essere giornalista de La Stampa di Torino o la sua relazione con i lettori. Egli si professa invece come un viaggiatore attraverso il tempo, lo spazio e gli uomini; un viaggiatore che, tuttavia, non va con l’obiettivo di arrivare prima possibile alla mèta, né vuole tornare prima possibile al punto di partenza. Al contrario, egli vuole attraversare questi mondi e viverli, assumere sulla sua pelle e nel suo cuore le sofferenze di questa gente, il loro grido di dolore, ma anche la loro stupenda e incontenibile umanità. Egli non è come ne “Il giro del mondo in 80 giorni”, dove il protagonista Phileas Fogg effettua un viaggio intorno al mondo con il solo obiettivo di tornare prima possibile nella sua amata Inghilterra, ritornandovi anzi ancora più irrigidito e convinto che l’unico modo corretto e civile di vivere sia quello anglosassone e dimenticando la bellezza degli uomini che ha conosciuto nelle parti più recondite del globo, i loro usi e le loro abitudini.
Quirico, al contrario, vuole immergersi – come se fosse un pozzo di acqua limpida – nel mondo che visita e che attraversa; egli vuole far sì che – attraverso la commozione – la sua esperienza si tramuti in coscienza. Proprio quella vituperata commozione, impossibile da accettare nel nostro mondo occidentale fatto di velocità e di effimero, è invece il veicolo che trasforma un’esperienza in qualcosa di più alto valore, ossia nella coscienza del giornalista e, in ultima analisi, dell’uomo. Tutto nasce, per Quirico, 21 anni fa quando comincia la sua attività di giornalista, occupandosi della guerra civile in Ruanda: una guerra civile, un genocidio di proporzioni immani (900.000 morti su una popolazione di 5.500.000) e tinta da atrocità davvero difficili da comprendere. Un genocidio ben diverso da quello della Shoah: quest’ultimo, per quanto grave ed assurdo, consisteva in uccisioni “meccaniche” (si spingeva un pulsante ed il gas usciva dalle docce, uccidendo gli ebrei ivi rinchiusi), mentre la strage che gli Hutu fecero dei Tutsi fu una strage colma di grande violenza e crudeltà: la gente Hutu usciva di casa e si armava di qualunque cosa potesse provocare la morte (coltello, machete, Kalashnikov, mazze chiodate, …), cercava il vicino di casa o il collega di etnìa Tutsi, arrivava a guardarlo negli occhi, dopo di che lo uccideva in modo macabro e violento, tagliandolo a colpi di machete o sparandogli con la massima indifferenza. In quella guerra civile, in quel genocidio, Quirico ammette che i giornalisti – quelli veri – arrivarono tardi; non riuscirono a lasciare un segno in quella tremenda vicenda perché pochissimi si erano occupati di quanto succedeva in Ruanda e quando arrivarono la strage era ormai prossima al compimento.
Ma quell’esperienza gli lasciò il segno: lo convinse che non si possono raccontare storie di sofferenza, di lotta, di guerra, se non vivendole personalmente, se non immergendosi in quelle realtà così difficili in mezzo a culture completamente diverse e in aree del pianeta dove la vita delle persone vale pochissimo e ti puoi trovare con un fucile puntato senza neanche sapere il perché.
Da allora, di esperienze di questo tipo, Quirico ne ha vissute parecchie: dalla Somalia alla Mauritania, dall’Iran alla Siria, dal Libano ai Paesi del nord africa spazzati dal vento della Primavera araba. Ecco allora che per lui, descrivere nei suoi articoli e nei suoi scritti, i dettagli di un bar o di un passante o di una casa sventrata da una granata diventa un fatto di lealtà: egli vuole dimostrare che quella esperienza, egli non la racconta per sentito dire, ma al contrario lui c’era, era lì ed ha vissuto la fatica, la tensione e le sofferenze di quegli uomini e di quel momento. Se non si è fermato nel nord est della Nigeria, laddove imperversano le milizie di Boko Haram, che hanno giurato fedeltà allo stato islamico, è perché l’unico bianco in un Paese a completa popolazione nera, non passa certo inosservato e per di più in zone dove le condizioni di sicurezza sono decisamente ridotte al lumicino. Ci si chiede allora: come vengono stesi certi articoli sulla situazione politica e sociale in quella zona, da parte di giornalisti europei e italiani? Il dubbio che qualcuno scriva “per sentito dire” è davvero forte; e scrivere notizie, senza averle vissute direttamente, innanzitutto significa non fare buona informazione; in secondo luogo, significa scrivere di persone e situazioni che non si sono vissute, che non hanno dato quella maturità necessaria a parlare con cognizione di causa. Sì, insomma, come quei giornalisti che parlavano e scrivevano della crisi siriana, stando oltre confine in territorio turco e limitandosi a raccogliere notizie da qualche profugo che fosse riuscito a passare indenne il confine.
E mentre vaste aree del mondo sono in violenta ebollizione (dal Medio Oriente al nord Africa, dall’Africa australe all’area caucasica), l’Europa pare assopirsi in una situazione di torpore, incapace di “generare poeti e patrioti” (per usare le parole dell’editore Giuseppe Russo); una situazione in cui ci stiamo avvitando nei nostri banali problemi quotidiani, con una politica ai limiti delle beghe da condominio ed un’economia vieppiù asfittica e non ci rendiamo conto che “a un’ora di aereo da qui” il mondo è come un vulcano in eruzione. Intere aree geografiche sono oggetto di violenze, di povertà e di flussi migratori con uomini alla ricerca del loro destino o semplicemente in fuga da situazioni aberranti e noi siamo qui che ci preoccupiamo se la fronda del PD avrà la meglio o se alla prossima votazione ci sarà qualche franco tiratore …
Ecco perché Quirico sostiene che l’Europa appare come un continente non più in grado di generare cultura, vitalità intellettuale, balzi di novità sul piano umano e tecnologico, ma vi vede solo delle grandi città che vivono del loro passato, rimescolano – come una minestra riscaldata – ciò che erano con l’obiettivo di fare business con qualche turista giapponese, ma senza la capacità di produrre nuove ventate di slancio sociale e intellettuale (“dei cinque anni passati in Francia, non ricordo un solo artista degno di nota”, “la cultura francese si è spenta con i Sartre e i Gide”).
Quirico ha fatto cenno alla sua personale umana vicenda del rapimento in Siria ed ha ricordato alcuni strascichi di quell’esperienza (“per parecchi mesi mi sembrava strano poter aprire le porte o poter bere un bicchiere d’acqua senza doverlo chiedere a nessuno”), ma ha anche ricordato che al termine di quell’esperienza, i suoi carcerieri gli ricordarono che sia lui che loro erano entrambi prigionieri, ma con la differenza che lui era nella situazione di chi, dopo quattro mesi, si poteva rimettere la sua giacca precedente nient’affatto sgualcita, mentre per loro la prigionia continuava. Quale prigionia? Quella di chi è alla ricerca di una via d’uscita da situazioni politiche e sociali di assoluta incertezza, quella di chi dopo aver visto sventolare la bandiera libica della rivoluzione ed aver abbattuto il tiranno, raggranella 1.000 euro per poter salire su un barcone marcio e cerca di attraversare il Mediterraneo (a marzo …), sapendo benissimo – come lo sapevano i nostri nonni quando migravano in America – che qui non troveranno nessuno ad accoglierli a braccia aperte, ma solo gente che vede in loro, nel migliore dei casi, una fonte di problemi.
Questo viaggio insieme ai migranti, Quirico l’ha fatto e stasera ce ne ha dato una toccante testimonianza.
Un “grazie” sincero a questo giornalista tutto d’un pezzo che ci ha dato la visione di chi vive in pieno il suo tempo e svolge il suo mestiere non come semplice spettatore e cronista di ciò che accade, ma come condivisione delle esperienze, talvolta belle, talvolta brutte, che questo nostro mondo ci riserva.
A patto di saperle vedere con gli occhi lucidi e disincantati di un uomo che vorrebbe vivere la vita come eterno viaggio fra i popoli.
Ecco il video (disponibile su YouTube) dell’ incontro.
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A presto.