L’INCONTRO. Il giornalista che fu ostaggio in Siria ha presentato il suo libro edito da Neri Pozza
Guerra al Califfo? Prima l’arma dell’informazione
Di Lorenza Costantino
Domenico Quirico e il pericolo dello Stato islamista di cui ha descritto luoghi e persone. «L’Occidente deve conoscere, guardare oltre se stesso, al di fuori»
C’è un piccolo condominio in cui abitano persone piuttosto ricche, ma tormentate dalla paura di diventare povere. Eppure, ogni giorno, queste persone possono compiere sbadatamente almeno due gesti che, agli occhi di tantissimi che vivono al di fuori, hanno quasi del miracoloso: aprire il rubinetto dell’acqua e accendere la luce. Il piccolo condominio è l’Europa. «L’Europa ossessionata dal Pil», dice Domenico Quirico, 63 anni, «non pulsa più, non produce niente culturalmente e socialmente, oltre che economicamente. Vive di ricordi e di soldi messi in casseforti che si stanno esaurendo, le sue metropoli sono musei a cielo aperto e nulla più. Questo mentre c’è una parte del mondo che sta costruendo il proprio destino a una velocità impressionante
Noi continuiamo a pensare che tutto passi attraverso di noi, ma non è vero».
Da qui inizia la lezione del giornalista della «Stampa»: inviato di guerra per oltre vent’anni, testimone di innumerevoli conflitti dimenticati — Darfur, Uganda, Ruanda, Mali
— rapito per la prima volta nel 2011 in Libia (liberato dopo due giorni), e una seconda volta nel 2013 in Siria, dove è stato prigioniero per cinque mesi, 152 giorni, dei guerriglieri di Jabhat al-Nusra, al-Qaida in terra siriana.
Fu dai suoi sequestratori che Quirico sentì parlare per la prima volta della guerra santa islamica, la jihad, «molto vicina e molto pericolosa», e del Califfato, di cui poi lui ha scritto nel libro appena uscito per Neri Pozza. Dicevano i suoi aguzzini: «Costruiremo, sia grazia a Dio Misericordioso, il Grande Califfato». Quirico ha potuto, per sua fortuna, tornare in patria a raccontarlo, ma nessuno gli ha dato credito.
Ciò che il giornalista rimprovera più di ogni altra cosa all’Europa, e in generale al mondo occidentale, è la patologica autoreferenzialità che ha impedito e impedisce di guardare fuori dal piccolo «condominio» squassato dalla crisi. Un grande problema anche, soprattutto, di informazione.
Cosa c’è, fuori? Il vasto universo dell’Islam, esteso dall’Africa all’Asia, formato pure da Paesi in cui l’acqua corrente e la luce elettrica restano un lusso per pochi, ma dove ci sono «la fede, la vita, l’energia di un mondo giovane che cresce, trasborda, esce fuori, conquista. In questo senso esiste un pericolo Islam, non nel senso xenofobo e cretino raccontato da noi. La forza interiore dei musulmani è impressionante: noi occidentali non l’abbiamo più. L’Occidente è un mondo in cui Dio non è morto, ma è andato via, ripugnato dal tiepidume della nostra fede». Del resto lo si legge anche nella Bibbia: «Poiché sei tiepido ti vomiterò» (Apocalisse).
In pochi mesi tutto è cambiato, e il Grande Califfato dei terroristi dell’Isis non appare più il sogno delirante di qualche fanatico incrostato di medioevo, ma una realtà con cui tutto il mondo è costretto a fare i conti. E a questo punto, l’Occidente fa una drammatica scoperta: del suo avversario sa poco o nulla.
«Oggi il dramma è che vi sono luoghi pressoché inaccessibili ai giornalisti, come la Siria, dove non si può andare senza l’altissimo rischio di essere sequestrati e uccisi», spiega Quirico. Ma vi sono altri luoghi dove si potrebbe recarsi, aggiunge, però si preferisce guardare dalla comoda finestra di internet: «Sul posto vanno solo i fotoreporter, perché ancora non esiste un teleobiettivo tanto potente da evitare il viaggio. Scarseggiamo perciò di resoconti, se non quelli divulgati dal Califfato, o da testimoni indiretti di dubbia affidabilità. La maggior parte di ciò che viene scritto e detto sulla situazione in Siria è riportato da giornalisti che, in Siria, non ci hanno mai messo piede. E purtroppo temo che la maggior parte delle decisioni sia presa sulla base di informazioni non verificate, magari false».
Allora, via gli stereotipi: «I sostenitori del Califfato non sono rozzi retrogradi, come finora abbiamo creduto e come crede erroneamente anche il presidente Obama. Sono stato liberato a settembre del 2013. Allora l’Isis era un movimentino tra i tanti nel Nord della Siria. Ora c’è uno Stato, un esercito, e una comunicazione altamente tecnologizzata, a una sola ora d’aereo da qui».
Alla fine della lezione di Quirico, capiamo che il pericolo Isis pone l’Occidente davanti alle proprie annose mancanze: guardare al di là di se stesso, preoccuparsi della sofferenza dei popoli. E rivedere la propria informazione, «che non è internet, non è Facebook, ma è il giornalista che si reca sul posto per incontrare le persone, condividere le situazioni, e poi raccontare in modo che tutto ciò prenda vita sulla pagina, agli occhi del lettore».