“LA DISPERAZIONE PIU’ GRANDE CHE POSSA IMPADRONIRSI DI UNA SOCIETA’
E’ IL DUBBIO CHE VIVERE RETTAMENTE SIA INUTILE” (C. Alvaro)
25 gennaio 2013 – Cinema Teatro ALCIONE
Relatori:
- Proc. Capo della Repubblica dott. Mario Giulio SCHINAIA
- Questore di Verona dott. Michele ROSATO
- Coord. Naz.le Ass. “AVVISO PUBBLICO” – dott. Pier Paolo ROMANI
- Fondatore del Gruppo ABELE – don Luigi CIOTTI
Un’altra serata bella e importante per chi ha ascoltato, in un cinema Alcione gremito, le parole di quattro relatori di altissimo livello, ben coordinati e stimolati dal giornalista Loris Zoppi. Si è parlato di legalità e si è parlato di tutto ciò che tutti noi possiamo fare per aiutare a costruire una società di vero e leale rispetto delle regole.
Un breve incipit con il saluto di don Guido, che ha ricordato l’importanza di questi appuntamenti, specie in occasione della festa per un grande educatore quale è stato don Bosco, con l’introduzione del coordinatore di Prospettiva Famiglia, Alberto Tosi, che ha chiesto ai relatori di fornire a noi genitori gli elementi “per essere davvero credibili davanti ai nostri figli, quando diciamo che le regole vanno rispettate” e con le parole della referente per la Scuola per Genitori, Daniela Galletta, che ha ricordato i prossimi appuntamenti alla Gran Guardia sul tema importante della legalità e ha ringraziato le quasi 500 persone intervenute.
Ha aperto la serata il Proc. Schinaia che, dall’alto della sua esperienza, ha mandato subito un segnale forte alla platea: il rapporto che lega, in modo inversamente proporzionale, la cultura e la violenza. Una cultura da intendersi in senso proprio: non solo o non tanto sapere la data della scoperta dell’America o della penicillina, bensì la cultura intesa come dialogo, relazione, capacità di esporre le proprie posizioni e le proprie idee, senza dover ricorrere alla violenza e alla vessazione. Quanto più la cultura permea la società e le relazioni fra le persone, tanto minore è il ricorso alle soverchierie e alla violenza.
Un tema, questo del dott. Schinaia, che verrà ripreso in più momenti, anche da don Luigi Ciotti.
La parola è passato poi al Questore di Verona, dott. Rosato, che ha portato la sua esperienza, di uomo appartenente alle Forze dell’ordine, di persona che – per il suo ruolo istituzionale – è chiamata a reprimere i reati e ad informare l’Autorità giudiziaria, ma anche di persona che si è accorta in questi anni quanto il contesto sociale degradato sia linfa vitale di forme delinquenziali quando non malavitose. Sono “i ragazzi del muretto”, quelli che vivono nell’ozio, a suo parere, i più esposti ai fenomeni degenerativi della vita sociale; chi respira l’aria di un oratorio sano, vitale, sereno, difficilmente potrà rimpinguare le fila della malavita, proprio perché si è abbeverato ai sani principi e ai valori più limpidi della lealtà e dell’onestà. Il dott. Rosato non ha mancato di ricordare la desolazione davanti a quei genitori che, per partito preso, difendono sempre e comunque, i propri figli, anche di fronte alla prova dei fatti; un comportamento, come più volte detto, che danneggia anziché aiutare, i nostri ragazzi. Ecco, dunque, l’importanza dell’educazione, l’importanza di instillare nei nostri figli, forme ed esempi di corretto vivere civile. Da qui, al grande ruolo delle scuole e degli insegnanti, il passo è breve.
A seguire, il dott. Romani ha dapprima fornito alcune notizie sul ruolo dell’associazione di cui è coordinatore (AVVISO PUBBLICO), un’associazione nata nel 1996 fra enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie. Alla domanda del moderatore: “Quali sono i costi economici e sociali dell’illegalità ?”, il dott. Romani ha risposto che il peggior nemico per la legalità oggi sono gli stereotipi; non cadiamo nel tranello di coloro che affermano “tutta la politica è corrotta, rubano tutti allo stesso modo” o di coloro che dicono “i giornalisti sono tutti uguali, scrivono tutti le stesse cose”.
Questo non è vero. E’ nostro dovere distinguere la cattiva dalla buona politica, non confondere il politico corrotto con quello che porta avanti nel silenzio e nella legalità il suo dovere di pubblico amministratore (48 i morti ammazzati in 200 anni solo perché ricoprivano cariche pubbliche).
I dati forniti dal dott. Romani sono per alcuni versi preoccupanti: i disoccupati in Italia sono ormai al 38% della popolazione giovanile (l’11% sul totale) e gran parte delle cause sono riconducibili alla mancanza di risorse economiche da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Perché ? Semplicemente perché le mafie – di qualunque genere – si succhiano 1/5 del prodotto interno lordo; una cifra spaventosa che si aggira fra i 250 e i 260 miliardi di euro !
Legalità vuol dire rispetto delle regole; ma perché allora noi Italiani siamo così poco rispettosi delle regole ? Per vari motivi: perché le regole sono tante (a volte troppe), perché non sono sempre chiare, anzi talvolta sono addirittura in conflitto fra loro e perché c’è scarsa conoscenza delle regole e delle loro evoluzioni. E’ in questo contesto, che chi evade le tasse, chi vìola le regole, chi “la fa franca” assurge a modello da imitare anziché elemento da additare e da isolare.
Eppure di leggi ben fatte ce ne sono; si pensi alla L. 106/96 che sancisce l’uso sociale dei beni confiscati. Una legge che ha consentito di dare lustro alle Istituzioni, che grazie ad essa, possono mettere al servizio della società, beni che erano stati sottratti alla società stessa con attività illecite e con reati gravi, dalle minacce agli omicidi. Altre leggi purtroppo, come la legge sul falso in bilancio, hanno invece favorito la corruzione e l’elusione fiscale più sfrenata.
Riprendendo il titolo della serata, di quel grande autore calabrese che è stato Corrado Alvaro, il dott. Romani ha ricordato la grande ricchezza che ci hanno lasciato i padri della Repubblica: la nostra Costituzione. E’ essa la prima dichiarazione contro la mafia, è essa che sancisce la mentalità che noi italiani dobbiamo assumere nel nostro vivere civile, è essa che definisce quali sono i principi ispiratori di chi governa; lo dice all’art. 54, quando recita “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”; e prosegue: “i cittadini cui sono affidate le funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, …”. Valori, principi, cardini di moralità ben presenti nei Parri, nei De Nicola, nei Pertini, che forse è il caso di riprendere perché se questi valori non li abbiamo dentro, nessuna norma potrà mai in alcun modo instillarceli.
Infine, il dott. Romani ha concluso con un messaggio che ci deve incoraggiare: vivere rettamente non è inutile, è difficile; ma se ci impegniamo in questo ardito compito, potremo vincere la nostra battaglia e realizzare una società dove vivere rettamente non solo non sarà inutile, ma anzi necessario.
Infine, don Luigi Ciotti. Per i temi che ha trattato e le esperienze che ha citato, sarebbe stata necessaria una serata solo per lui. Cerchiamo qui di riprendere i punti salienti.
Innanzitutto, ci ha ricordato che il 26 maggio 2013, don Pino Puglisi verrà dichiarato Beato. Nessuno di noi ha dimenticato la vita di questo splendido prete-educatore, ucciso al quartiere nativo di Brancaccio (Palermo); un prete che ha vissuto la sua vita ad educare i ragazzi, a strapparli al forte richiamo della mafia in una terra dove continuavano a dominare quelle che lui definiva le sindromi:
- La sindrome da torcicollo: questo continuo guardarsi indietro ed essere prigionieri del proprio passato;
- La sindrome dell’immobilismo: non fare niente perché tutto è ineluttabile e da solo non posso farci niente (ma don Ciotti ha detto: “è il NOI che vince”);
- La sindrome dell’ansia: il voler cambiare tutto e subito, che ci fa cadere nella superficialità e ci fa dimenticare che i grandi risultati comportano la pazienza e la costanza dei forti.
Davvero un gran bell’esempio quello di padre Puglisi; fino a quel drammatico 15 settembre 1993, quando fu ucciso. Questo prete “dava fastidio” (come disse nella deposizione Salvatore Cancemi, uno degli assassini); eppure, si preoccupava solo di educare i ragazzi di strada, aveva con loro un atteggiamento ispirato ai due grandi principi dell’ascolto e del dialogo; nelle richieste che avrebbe fatto (e che non fece in tempo a fare) all’allora Presidente della Commissione Nazionale Antimafia Luciano Violante, vi erano quattro cose: una scuola media, un oratorio, un asilo e una palestra per i suoi ragazzi.
Come uscirne ?
Don Puglisi citava tre regole:
Continuità: non possiamo essere genitori a corrente alternata; lo dobbiamo essere sempre e comunque;
Condivisione: è il NOI che vince; la nostra solidarietà ed il sostegno reciproco possono portare grandi frutti;
Corresponsabilità: non basta incanalare i nostri figli, li dobbiamo accompagnare; se noi siamo insieme a loro, passeranno dalla frustrazione alla realizzazione, dall’apprendimento all’assunzione di responsabilità, dalla sconfitta alla conquista.
E quello che i giovani ci possono dare, quando ricevono da noi, è moltissimo.
6.000 i giovani che con don Ciotti hanno riattivato beni rimessi ad un uso sociale dopo essere stati confiscati alla mafia; si fanno anche le mozzarelle della legalità !
Don Ciotti ci ha ricordato che legalità e giustizia non servono a nulla, se non sono legate dalla “spina dorsale della società” e cioè la corresponsabilità. Non basta lo sdegno e l’indignazione (che hanno pari etimologia), bisogna sconfiggere il male con la dignità, con il “dare vita alla vita”.
Toccanti i fatti del 2 giugno 2012 che ci ha raccontato questo fantastico prete; non sono bastati gli incendi ai terreni confiscati alla mafia per far desistere i giovani dal ripartire ancora più convinti che il male (quel male che, per essere sconfitto, va prima di tutto nominato, diceva il cardinal Martini) può essere sconfitto con i principi più sani, con quell’etica che è “la ricerca del nostro essere autentici ed umani, la ricerca della coerenza nel nostro vivere”. Possiamo e dobbiamo far tornare la politica alla sua essenza più alta, quella che Paolo VI definiva “la forma più alta ed esigente di carità; la ricerca del bene comune”.
Sta a noi farlo con l’impegno quotidiano ad essere modelli di vita, a combattere le mafie, più o meno subdole, che si infiltrano nelle fessure di debolezza della nostra società e lo facciamo, come disse il grande giudice Falcone. “per spirito di servizio”.
Don Ciotti ce lo ha ricordato amaramente; sono 400 anni che parliamo di camorra, sono 200 anni che parliamo di mafia; scalzato un boss, altri ne prendono il posto e ciò continuerà finché non avremo fatto quel salto culturale che, riprendendo le parole di Schinaia, è inversamente proporzionale alla violenza e alla mafia.
Voglio chiudere con una frase di Giovanni Falcone: “la mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà una fine.” Sta a noi, al nostro impegno, alla nostra ricerca del dialogo, alla capacità di ascoltare col cuore e al nostro camminare a fianco dei nostri ragazzi, al nostro crescere insieme, fare in modo che questa fine sia vicina.
Perché come ha detto don Ciotti: “E’ il NOI che vince”.
Per Prospettiva Famiglia
Paolo Stefano
{jcomments on}