VITTIME DELLA STRADA. Martedì 24 ci sarà una mobilitazione nazionale per chiedere che sia introdotto il nuovo reato
Sit-in per l’omicidio stradale Tutti davanti alla prefettura
Chiara Tajoli
Patrizia Pisi: «All’uomo che ha ucciso mio figlio hanno dato 3 anni: in cella non è mai stato e dopo 4 è tornato a guidare»
Suo figlio è stato ucciso sette anni fa, investito su un marciapiede di Santa Lucia da un’auto guidata da un ubriaco che faceva i 120 all’ora su una strada con il limite dei 50.
L’uomo è stato condannato a tre anni e al ritiro della patente per quattro. «Una sentenza esemplare, che aveva fatto scalpore per la severità della pena, inasprita perché il colpevole era recidivo: gli avevano già ritirato la patente due volte per guida in stato di ebbrezza», racconta Patrizia Pisi, che ha perso il suo unico figlio, Alberto Benato, morto a 17 anni.
«Questo fa capire quanto lievi siano sempre state le condanne inflitte a chi, drogato o ubriaco, si mette al volante e uccide. Li chiamano incidenti o fatalità, ma non si tratta di questo. Sono omicidi, perché chi sale in auto dopo aver assunto sostanze sa di non essere lucido e di mettere a rischio la sua vita e quella degli altri».
Patrizia Pisi, che è anche co-fondatrice del Gruppo di mutuo aiuto per i familiari delle vittime della strada con Anna Maria Caliari, ed è responsabile per Verona e il Veneto dell’Avisl (Associazione vittime di incidenti stradali, sul lavoro e malasanità), creata dall’avvocato Domenico Musicco, da anni si batte per l’introduzione dell’omicidio stradale.
E annuncia che martedì 24 alle 17 ci sarà in tutta Italia una mobilitazione dei familiari delle vittime: un sit-in per chiedere che venga introdotto l’omicidio stradale.
«A Roma sarà davanti al Quirinale, nelle altre città davanti alle prefetture o ai municipi», afferma. «A Verona sarà in prefettura e tutti sono invitati, anche chi non ha subito lutti. Dobbiamo andare in molti per far sentire la nostra voce. E purtroppo noi familiari delle vittime della strada siamo tantissimi, ma combattere le nostre battaglie da soli non porta a nulla. Dobbiamo essere uniti perché ci ascoltino. Come posso dire alle mamme che mi chiedono se avranno almeno giustizia terrena che no, non avranno neanche quella? Io non ce la faccio».
Patrizia Pisi si rivolge anche ai genitori dei quattro ragazzi morti alla rotonda di Arcole nel 2013 dopo lo scontro con un’auto guidata da un ubriaco, che attraverso le pagine del nostro giornale, hanno espresso la loro rabbia per le tante promesse fatte dai politici, Renzi in primis, a favore della legge sull’omicidio stradale e che tali sono rimaste. Ci sentiamo impotenti e amareggiati», hanno detto. «Una giustizia terrena non può non esserci».
«Capisco la loro rabbia, ma purtroppo è inutile sperare in condanne giuste per chi ha ucciso i nostri figli», afferma Patrizia Pisi. «Dobbiamo batterci attraverso le associazioni per essere più forti. Non c’è altro modo». Chi ha ucciso suo figlio la pena l’ha già scontata. «In prigione non è mai andato e ora gira tranquillo in macchina come nulla fosse accaduto», si sfoga Patrizia Pisi. «Dopo l’incidente, avvenuto all’una di notte, ha cercato di scappare, ma non ci è riuscito perché la sua auto non partiva. E quando poi i vigili l’hanno portato all’ospedale per fare l’acoltest è scappato. Sono andati a casa sua a prenderlo tre ore dopo e all’ospedale aveva ancora i valori quattro volte e mezzo più alti del normale. Figuriamoci prima». E continua: «I nostri amici ci dicevano “Se fosse successo a noi saremmo andati a prenderlo e ci saremmo fatti giustizia da soli”. E la voglia viene, perché la rabbia e il dolore sono troppo forti quando ti strappano un figlio così. Ma a mio marito ho detto “E poi io come farei a vivere con Alberto al cimitero e te in prigione? Però una cosa l’ho fatta», rivela. «Da lontano ho seguito quello che faceva questa persona. La vita per lui non è cambiata. Un anno dopo che è morto mio figlio si è sposato. Allora qualche giorno prima sono andata dal sacerdote che doveva celebrare le nozze e gli ho detto che quella persona aveva ucciso il mio unico figlio e che non si era mai fatto vivo per chiedermi almeno scusa. Lui ha risposto che non era lì per giudicare ma per celebrare un matrimonio e che sposava anche persone in carcere».
Patrizia Pisi tace per qualche secondo. «Il 17 di questo mese è stato l’anniversario della morte di mio figlio», dice poi con dolore. «Il passare degli anni non rimargina la ferita: ogni 17 marzo rivivo quel giorno e sarà così per sempre».