Dopo Inchiesta su Gesù, Inchiesta sul Cristianesimo, Disputa su Dio e dintorni, Corrado Augias torna ancora su quell’ambito di temi, problemi e interrogativi con il suo più recente lavoro, Le ultime diciotto ore di Gesù (Einaudi 2015, pp.252, euro 20). Siamo nell’anno 33 della nostra èra, il giovane profeta Gesù di Nazareth viene condannato e giustiziato. Tutto si svolge in un pugno d’ore. Il processo che ha cambiato il destino dell’uomo è celebrato in fretta, nottetempo, alle prime luci dell’alba. Ma qual è il ruolo che hanno avuto nella vicenda Ponzio Pilato, il fariseo Nicodemo, il discepolo Giuda e il re fantoccio Erode Antipa? Quale la disperazione di Maria e Giuseppe o della Maddalena? Crediamo di sapere – ci dice l’autore – ma in realtà non sappiamo. Come procedere allora per «sapere» davvero?Indagando i documenti, studiando le fonti. Ho scritto un romanzo sulla vicenda storica di Gesù, collocando la sua storia nel tempo e nel luogo in cui Gesù visse, il che raramente viene fatto. Sono partito dagli elementi storici e politici. A cominciare dal dato di fatto che allora la Palestina era occupata dai romani. Le figure che vivono nel libro però sono solo in parte storiche, ci sono anche figure d’invenzione. E infatti lei spesso, descrivendo una scena o un dialogo, dice «potrebbe essere andata così». La manzoniana definizione di «componimento misto di storia e d’invenzione» potrebbe dunque calzare per il suo lavoro?L’aggettivo manzoniano togliamolo di mezzo, non scomodiamo Manzoni. Più adatta è infatti un’altra, più moderna definizione, che purtroppo si trova solo in lingua inglese: «narrative non fiction». Cioè un romanzo sì, ma non un’invenzione. Un romanzo che mira a restituire alla realtà anche le figure che si muovono intorno a Gesù, a partire da Giuseppe e Maria, che nei Vangeli appaiono molto sbiaditi, Giuseppe ad esempio non dice una parola.Ad alcune figure di comprimari il libro riserva molto spazio, facendone quasi «altri» protagonisti. C’è Pilato con le sue insicurezze, c’è l’intellettuale Caio Quinto Lucilio testimone segnato da una velata empatia con Gesù. Quale tasso di «storia» e quale di libero gusto narrativo concorrono a dare vita a questi personaggi?Dipende. Nel caso di Pilato, quello raccontato nei Vangeli è trattato troppo bene, perchè i Vangeli devono far vedere che Pilato è persona per bene, in quanto parlano ai romani: io l’ho restituito alla realtà. Lucilio invece è figura di pura invenzione, mi serviva per mettere nella narrazione un intellettuale in grado di decifrare che cosa accadeva in Palestina e quindi di confrontare la religione romana con quella ebraica, spiegando il disprezzo reciproco di questi due mondi opposti. Confesso che questo personaggio mi è molto caro. Questo suo libro si inserisce in un filone che quest’anno ha avuto esempi di rilievo, quello di scrittori laici che si occupano dei Vangeli e del loro racconto: vedi «Il Regno» di Emmanuel Carrère e «Non dirlo» di Sandro Veronesi. Vede una ragione di questa tendenza?Certamente. Siccome non ci sono più punti di riferimento politici e la democrazia vive una stagione di incertezza, si tende a tornare alle Sacre Scritture, che diventano l’appiglio forte cui fare riferimento. Del resto nelle Sacre Scritture e in Omero è contenuta la sorgente di tutte le storie possibili, sono i due riferimenti da cui discende tutta la letteratura, perchè in essi sono già presenti tutte le fabule narrative.
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