Tratto da L’Arena.it
PERSONAGGI. Il magistrato ha parlato ai ragazzi delle elementari, medie e superiori aderenti a «Prospettiva famiglia». Ayala: «Falcone e Borsellino sono martiri, il cui esempio resta non nella morte, ma nella loro vita Il mio libro a servizio dei giovani»
«Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Non chiamateli eroi, a loro non piacerebbe. Sono martiri, è vero, ma restano due uomini, il cui esempio sta nella loro vita, non nella loro morte: hanno fatto il loro dovere fino in fondo e credendoci, nonostante la paura. Non dobbiamo pensare che per combattere la mafia servano dei superman o gli eroi: servono uomini con gli attributi e loro lo erano». È la lezione di Giuseppe Ayala ai ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori di Verona Est aderenti al network di «Prospettiva famiglia», che ieri mattina hanno incontrato il magistrato siciliano all’istituto tecnico Pasoli di Borgo Venezia, al termine di un progetto formativo sulla legalità, mentre ieri sera è toccato agli adulti nell’ambito della «Scuola per genitori» incontrare Ayala. Lui con i due giudici assassinati dalla mafia nel ’92 ci ha lavorato fianco a fianco, negli anni Ottanta. Lui, da pubblico ministero, ha gioito con Falcone, giudice istruttore, per la «trionfale sentenza» che ha chiuso il primo maxiprocesso per mafia, quello del 1986 «che ha cambiato la storia della giustizia in Italia, con 475 mafiosi rinviati a giudizio per oltre mille reati e conclusosi con 19 ergastoli per tutti i capi di Cosa Nostra e 2.665 anni di galera distribuiti tra i colpevoli». Lui, quando la mafia non perdonò l’impegno al servizio dello stato dei suoi colleghi Falcone e Borsellino, uccidendoli insieme agli uomini della loro scorta a pochi mesi di distanza, passò «momenti terribili». Ma lui, nonostante 19 anni vissuti sotto scorta, non ha gettato la spugna rifugiandosi in quella che Falcone definiva «la sindrome del reduce», vivendo solo di ricordi e testimonianze: «Sono diventato magistrato per passione, se tornassi indietro questo lavoro lo risceglierei». Oltre a continuare il suo lavoro e a diventare prima parlamentare e poi sottosegretario al ministero di Grazia e Giustizia, Ayala ha scritto libri. Di uno, in particolare, Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino, ha parlato davanti ai ragazzi, al dirigente del Pasoli Sandro Turri, alla responsabile della Scuola per genitori, la docente Daniela Galletta, e al sindaco Flavio Tosi, che ha esortato i giovani a combattere da subito qualsiasi forma di illegalità, anche quella che può sembrare piccola, per evitare un’excalation incontrollabile. «Ho scritto questo libro per rendere un servizio ai giovani», ha detto Ayala, «perché quegli anni non sono ancora storia che si legge nei testi scolastici e non sono più cronaca per i giornali. Invece sono fondamentali perché segnano la vera scoperta delle mafie», ha proseguito, ricordando l’intuizione vincente di Falcone: l’idea che i processi di mafia andassero trattati non uno a uno ma tutti insieme, per trovare la logica che li governava e riuscire a dare una risposta giudiziaria che non fosse, come accaduto fino ad allora, sempre fallimentare. «Prima degli anni Ottanta non si sapeva in concreto come agisse la mafia e come intrecciasse i suoi rapporti con la politica, c’era timore anche solo a pronunciare la parola. Una sottovalutazione di un fenomeno diffuso il cui fatturato arriva invece a 140 miliardi di euro all’anno, che viene reinvestito non tanto nelle asfittiche economie del sud», conferma il magistrato, «ma quasi tutto in quelle vivaci del Nord Italia». Grazie al lavoro di Falcone e Borsellino, quindi, si cominciò a rompere il muro di omertà e iniziò l’epoca dei collaboratori di giustizia, che svelarono tutti i retroscena della «piovra». «Mi auguro», ha concluso Ayala, «che proprio da qui parta una presa di coscienza di questo fenomeno e che queste società più sane del nord riescano a liberare gli anticorpi per fermare questa deriva. Una presa di coscienza che è possibile solo grazie a quanto ci hanno svelato le ottomila pagine di quella storica sentenza e il lavoro di Falcone e Borsellino».
Elisa Pasetto