AGNESE MORO , FRANCO BONISOLI, PADRE GUIDO BERTAGNA
9 APRILE , ORE 18.00, LICEO MESSEDAGLIA
IL LIBRO DELL’INCONTRO
E’ molto difficile descrivere le profonde emozioni e i sentimenti vissuti ieri sera al Liceo Scientifico Messedaglia, durante il momento formativo “Il libro dell’incontro”, organizzato da Prospettiva Famiglia, in collaborazione con la Rete di Scuole “Scuola e Territorio: Educare insieme”, alla presenza di Agnese Moro, figlia del tristemente noto statista, di Franco Bonisoli, ex terrorista delle Brigate Rosse e componente della Direzione Strategica delle BR che attuò il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, guidati da Padre Guido Bertagna, sacerdote gesuita che si è impegnato per far incontrare le vittime di terrorismo e coloro che si sono resi responsabili di fatti di sangue. Negli ultimi anni, infatti, evitando la scena pubblica, in un percorso strutturato significativo , alcuni tra le vittime e i responsabili della lotta armata degli anni settanta hanno cercato di incontrarsi in una dimensione di ascolto, per dare un senso al dolore subito e ricomporre la ferita non guarita in quegli anni sofferti. Circa duecento i presenti, tra docenti, studenti e genitori, raccolti e commossi attorno ai tre protagonisti, a cui siamo grati per la testimonianza di giustizia riparativa autentica ricevuta e per il senso di perdono respirato; in un momento storico in cui risulta non facile difendersi dal pregiudizio, dalla grettezza e dal fondamentalismo, l’assunzione delle proprie responsabilità e il saper chiedere scusa rimangono qualità inestimabili . Daniela Galletta
Una sintesi delle loro riflessioni:
Padre Guido Bertagna:
Il percorso nacque molto tempo prima dell’incontro. Il 7 dicembre 2008 ci fu il primo contatto. Il gruppo prese for- ma in un clima di ascolto, per far parlare la vita dell’altro, per mettere insieme ascolti, per non rinchiudersi in se stessi, riducendo il dolore ad una cicatrice indurita. Si cercava di trovare un senso al dolore, un valore per gli altri, per le giovani generazioni. Il senso del dolore poteva trovare un motivo d’essere nella possibilità di un cammino congiunto. Importante fu l’acquisizione della consapevolezza che i fatti non si cambiano, soprattutto se ci sono delle vittime, come pure capire che ci si poteva impegnare sul modo di ricordare, sul senso e il valore della memoria. Esistono vari tipi di memoria, una per ciascuno di noi, che fa vivere o non vivere, che ti apre un futuro, che ti lega ad un passato, ma che è in grado di ipotecare un cambiamento. Il gruppo ha camminato su questo.
Negli anni 2000 nacque una amicizia con il criminologo Adolfo Ceretti e la Docente universitaria Claudia Mazzuc- cato. Vittime e colpevoli si riunivano in un percorso di ascolto; i colpevoli potevano essere ascoltati permettendo la verità dei fatti e il riconoscimento del proprio cambiamento. La riflessione scaturita è stata preziosa per unire le idee ed incontrarsi in amicizia, riuscendo a trovare uno spazio in cui comunicare e condividere memorie incommensura- bilmente diverse. Unire le storie non significava piallare il dolore; la diversità faceva parte della ricerca del suo sen- so. L’uso delle parole si rivelò essenziale.
Agnese Moro:
Il percorso dell’incontro venne custodito nella riservatezza per molti anni. Nei precedenti momenti formativi , anche quelli di Prospettiva Famiglia, Aldo Moro era stato descritto durante la sua vita, ma cosa successe dopo?
La quotidianità non fu facile ma venna arricchita da una serie di incontri provvidenziali.
L’INCONTRO avvenne in un momento particolare. Tutto era ormai successo, anche a livello penale. I responsabili erano stai assicurati alla giustizia, processati e condannati. Si pensava di poter stare meglio per questo, ma non era così. Da quella dimensione non ci si poteva aspettare un cambiamento.
Ad un certo punto comprendi che hai bisogno di altro, ti impegni in una lotta personale che impiega energie e senti- menti. Da un ragazzo spagnolo che aveva inviato una targa in ricordo di suo padre, Agnese comprese che egli non era scomparso, ma che era rimasto indelebile nel ricordo collettivo. A quel punto rimaneva solo lei di fronte a sè stessa, con i suoi cocci da raccogliere. L’assenza era dolorosa, il passato era tiranno. Si sentiva legata ad un elasti- co, ad un peso, ad un vincolo , ad un onere. La catena del male continuava a produrre e ad agire negli anni a distan- za. Cosa si poteva fare quindi? Nel Natale 2009 arriva la proposta di un incontro con le persone che avevano agito nella lotta armata. All’inizio Agnese rifiutò perchè sembrava un’esperienza molto faticosa, che l’avrebbe obbligata a cambiare pelle. La pelle è una identità. Padre Bertagna non si arrese e gradualmente iniziarono gli incontri con i mediatori, con persone equoprossimali, che erano vicini contemporaneamente ad uno e agli altri. Poi incontrò altre vittime che non avevano avuto paura di cambiare pelle e questo la scosse molto. Incontrò Franco. Non fu facile, ven- ne a trovarla con una pianta, con l’idea di una vita da coltivare. Franco le ha insegnò l’importanza dei tempi dei verbi, la differenza tra E’ STATO ed E’, perchè una persona può cambiare. Lei gli chiese chi lui fosse ora e si aprì una finestra sulla sua umanità. Gli incontri proseguirono e vennero palesati i dolori degli altri, di chi aveva compiuto il male, di chi aveva ucciso. Percepì dall’altra parte un dolore terribile , anche quello innocente dei loro figli che sentivano il peso della responsabilità pur non essendo all’epoca nati, come per esempio la figlia di Franco. A Natale incontrò Adriana Faranda e Valerio Morucci e dopo quell’incontro scoprì il legame che univa le loro storie e ciò che le storie difficili hanno lasciato sulle spalle di tutti. C’erano tante altre persone che soffrivano, era come essere una rosa con petali che si dischiudevano.
Il Cardinale Martini li aiutò moltissimo. Quando loro gli confidarono i timori e le paure lui rispose “Se volevate an- dare nell’oceano con una barchetta, dovevate mettere in conto di ricevere qualche spruzzo”. Questo diede fiducia perchè capirono che la vita può ricrescere, il futuro si può ricostruire. Fare il male non uccide l’umanità delle perso- ne. Nulla può allontanare le persone se non vogliono.
Il regalo ricevuto da questa esperienza è anche riuscire a pensare a suo padre con tenerezza, serenità ed allegria.
Padre Guido Bertagna:
All’inizio non si ipotizzavano otto anni di cammino insieme, ma si pensava più ad uno spazio, ad un luogo dove poter essere solo sè stessi, dove fosse possibile comporre una narrazione per contenere la pluralità della memoria, un rac- conto polifonico. E’ stato difficile accettare che chi ha commesso crimini gravi potesse avere ancora qualcosa da dire. Importante era dilatare il linguaggio consentendo una narrazione comune.
Franco Bonisoli:
Il racconto della sua storia inizia da una famiglia normale abituata a pensare alla difesa dei più deboli, una famiglia di comunisti. Esistevano movimenti molto ampi in un clima tipico dell’epoca e del luogo. La prima scelta fu fatta a 17 anni; decise di lavorare in fabbrica dove erano dibattute le problematiche della classe operaia. Studiare era sì importante, ma parlare di lotta armata sembrava più urgente. Questa scelta implicò l’abbandono della famiglia. Di- venne militante nell’organizzazione delle Brigate Rosse, acquisì un’altra identità e credette fortemente in quella scel- ta per costruire un mondo di pace. Partecipò ad azioni armate, dopo quattro anni fu arrestato e sottoposto ad una dura carcerazione. Venne condannato in tutti i processi; lui non si difendeva, si riteneva parte dell’antistato. Ebbe la pena massima per ogni processo, quattro ergastoli e 105 anni. Venne tradotto in diverse carceri. Con il direttore del carcere delle Vallette instaurò una relazione particolare fondata sull’Ascolto. Voleva cambiare la sua vita e chiudere con la violenza su sè stesso. Dopo il 2003 iniziò insieme a Franceschini uno sciopero della fame per agire pacifica- mente. Sentiva il peso della responsabilità e voleva uscire da questa situazione. Il cappellano che li seguiva, rappor- tandosi con semplicità, cercò di aiutarli anche denunciando le condizioni della detenzione carceraria. La situazione suscitò grande clamore e li coinvolse nel dialogo con molte persone. Importanti furono in quel periodo la legge della riforma carceraria e quella sulla dissociazione con ammissione di responsabilità per avere sconti di pena. Gli venne scontata la pena a 22 anni e mezzo con possibilità di lavorare all’esterno. A tutt’oggi , terminata la detenzione, gode di passaporto ma non di diritto al voto. Sta vivendo una seconda vita riuscendo a fare quello che gli altri hanno fatto per lui, volontariato per esempio.La violenza genera solo violenza, l’incomunicabilità solo incomunicabilità.
Lo sguardo è proiettato verso il futuro, verso i giovani. Dopo l’intervento di Giovanni Bachelet al funerale di suo pa- dre, decise di creare un contatto con le vittime per avviare un dialogo. Scrisse tutto in una memoria che lasciò ai giu- dici. Incontrò anche Olga D’Antona.
Conclude il suo intervento affermando che quando sei libero il peso è ancora maggiore, ma si deve affrontare con il dolore rimasto, con la storia personale, insieme ai propri figli.
Ecco il video dell’incontro !
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