sabato 14 maggio 2016 , pagina 17
TESTIMONIANZA. Gran Guardia gremita di scolaresche per la sorella del magistrato ucciso da Cosa nostra nel 1993
«Ragazzi, indignatevi contro chi non rispetta le istituzioni»
Chiara Bazzanella
Rita Borsellino: «Se fra Stato e mafia non c’è guerra, non può che esserci accordo . Dovete pretendere di essere guidati da persone giuste»
l giudice Borsellino è semplicemente Paolo. L’eroe lascia il posto all’uomo. E la lotta alla mafia diventa così alla portata di tutti: anche degli studenti veronesi di medie e superiori che ieri hanno occupato tutti i 670 posti disponibili in Gran Guardia, per ascoltare, con partecipazione e rispetto, la testimonianza di Rita Borsellino.L’occasione è stata offerta da Prospettiva Famiglia, da sempre attenta a educare i giovani alle legalità e alla cittadinanza attiva, che ha organizzato l’evento insieme alla rete di scuole “Scuola e Territorio: educare insieme”, trovando ospitalità nella manifestazione Maggioscuola, promossa dal Comune.«L’indignazione deve uscire allo scoperto ed essere contagiosa», ha detto ai ragazzi la sorella del magistrato ucciso da Cosa nostra a Palermo 24 anni fa, due mesi dopo il collega e amico Giovanni Falcone. «Dal ’93 la mafia non uccide più, perché vuole fare i propri affari senza attirare troppo l’attenzione. I killer hanno lasciato il posto ai colletti bianchi e la corruzione ha rimpiazzato la violenza», ha continuato Rita, attaccando la trattativa Stato-mafia ed evidenziando che, tra le due parti, se non c’è guerra non può che esserci accordo. Citando il fratello, l’ex europarlamentare e presidente del Centro Studi Paolo Borsellino ha poi esortato le nuove generazioni a pretendere che i ruoli di guida del Paese siano in mano a persone giuste. «Le istituzioni sono sacre. Sono gli uomini che talvolta ne occupano abusivamente le posizioni che vanno giudicati».Giudicati ma anche scoperti, indagati, fino a trovare quella “scintilla divina” che Paolo Borsellino, profondamente credente, è sempre stato convinto che ci sia in ogni persona.«Mio fratello è riuscito a diventare un grande magistrato per la sua grande umanità, e il rispetto che aveva degli altri», ha precisato Rita Borsellino. «Sapeva relazionarsi con i collaboratori di giustizia perché, anche nei più grandi criminali, prima di tutto cercava l’uomo e le sue ragioni, per quanto sbagliate fossero. Per lui chi commette un crimine, tradisce la sua stessa natura e se arriva ad assumersi la responsabilità di ciò che ha fatto può avviare un vero processo di recupero della propria dignità».Agli studenti che le hanno chiesto come sia riuscita a reagire in maniera tanto costruttiva a un dolore immenso, la sorella del giudice di Palermo ha raccontato la sua prima esperienza di incontro con una classe scolastica, solo un paio di mesi dopo l’attentato.«L’ex maestra delle mie figlie mi aveva chiesto di parlare con gli alunni di seconda elementare perché dal giorno della strage di via D?Amelio vivevano nella paura. Ho accettato, ma confesso che ero terrorizzata. Poi, di fronte ai bambini, ho trovato la forza di rincuorarli come una madre, e di raccontare aneddoti di Paolo bambino, fratello e papà. Alla fine uno di loro mi ha chiesto: “lo posso chiamare zio Paolo?”. Ciò che è successo dopo la morte di Paolo è straordinario: la gente ha iniziato a fare proprio il suo pensiero e a viverlo dentro di se».Così è accaduto anche al giornalista e coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico” Pierpaolo Romani, che ieri ha introdotto fratello e sorella agli studenti.«Ormai la lotta alle mafie riguarda tutta l’Italia, incluso il Veneto, dove arriva soprattutto la ‘ndrangheta dalla Calabria per investire e riciclare soldi. Ma la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Per questo la mafia teme di più la scuola della magistratura».