SCORCI Agnese Moro e l’ex brigatista Franco Bonisoli a Verona
STORIE DI PERDONI POSSIBILI
di Miryam Scandola
Si è parlato di riconciliazioni tentate e riuscite all’incontro voluto da Prospettiva Famiglia in collaborazione con la Rete di Scuole “Scuola e Territorio: Educare insieme” presso il liceo Messedaglia, lo scorso 9 aprile. La serata, dal titolo“Il libro dell’incontro”, ha visto protago- nisti la figlia di Aldo Moro e uno degli ex brigatisti che ne avevano organizzato l’agguato e l’uccisione. I due hanno raccontato la fatica rivoluzionaria di imparare ad ascoltare le ragioni degli altri, senza confinarli e ridurli alle loro azioni.
«Essere una vittima è brutto. Però è un’identità, un luogo in cui ti ritrovi». Non l’ha na- scosto, ma l’ha precisato Agnese Moro, ospite al Liceo Messedaglia, nella serata di sabato 9 aprile. Con tutto il coraggio che implica svestirsi delle proprie sicurezze e svelare a se stessi i propri limiti. Il bocciolo della sua solitudine, nato quel giorno del 1978 quando ventenne perse il padre, dopo un po’ ha cominciato a starle stretto. «Alla fine di ogni processo rimanevo io, con tutti i miei cocci, frammenti di un’esistenza che non riuscivo a far rimarginare», ha spiegato la figlia dello statista ucciso dopo 55 giorni di prigionia dalle BR. A volte capita di innamorarsi del proprio dolo- re e di non riuscire ad andare avanti. Ma lei, figlia di un uomo coraggioso, non poteva ipotecare alla sofferenza il suo futuro. Per questo, la signora Moro, da sette anni siede accanto e condivide il dialogo, incontro dopo incontro, con Franco Bonisoli, ex terrorista delle Brigate Rosse, componente della direzione strategica che attuò il rapimento e l’uccisione del padre. «Chi sei ora?». La figlia dello statista ha raccontato ai tanti intervenuti all’appuntamento promosso da Prospetti- va Famiglia in collaborazione con la Rete di Scuole “Scuola e Territorio: Educare insieme”, di aver iniziato così quella che è stata la conversazione più difficile della sua vita. A risponder- le, sull’uscio di casa, quel giorno del 2009, «un uomo con una pianta in mano» che spendeva i suoi permessi dal carcere «per andare a scuola a fare i collo- qui con i professori della figlia». Distante in tutto dal ragazzo che era stato responsabile con i suoi compagni dell’agguato di Via Fani. Arrestato dopo quattro anni di militanza nelle lotta armata, Franco ha confidato di essere arrivato a pensare, nei momenti più duri della detenzione, che «la mia vita dovesse finire con la mia storia». Aveva 28 anni e lontano dai luoghi della sua ideologia non sapeva dove andare.
Un incontro impossibile quello tra la figlia dello statista truci- dato e l’ex brigatista, accaduto grazie all’idea, che dal 2008 si è fatta progetto, di Padre Guido Bertagna, sacerdote gesuita, che si è impegnato a creare occasioni di confronto tra vittime ed ex esponenti della lotta armata. Da oltre otto anni ha ritagliato per i protagonisti di uno dei drammi più tragici della nostra storia recente, una sorta di spazio dove « smettere di essere simboli per tornare, semplicemente, persone». Non è questione di livellare il dolo- re, ma di affrontarlo. «Si sono ascoltate cose inascoltabili»
ha confermato Agnese. «Arrivare a chiedere perdono non è stato facile. Ci vuole fatica, impegno e sofferenza, ma non bisogna aver paura di riaprire insieme alle ferite anche le nostre ferite» ha fatto eco Franco. Una narrazione polifonica della stessa storia, voci lontanissime che si fanno più vicine grazie a un percorso di «equoprossimità», fatto di riunioni, week-end insieme, lettere e email scambiate. Piano, è riuscito ad arrivare anche quel perdono che si fa sintesi e trattiene dei ricordi la giusta dose di sofferenza, senza eliminare le colpe e le strazianti assenze. «Solo dopo tutto questo, ho ricominciato a ricordare con tenerezza mio padre». Agnese ha raccontato di quando le lasciava sul suo letto di ragazza ogni giorno, qualche articolo di giornale sui danni del fumo per farle buttare la sigaretta e nel farlo ha finito col commuoversi. Subito, sul suo braccio è arrivata con discrezione e amicizia la mano di Franco.
Un gesto paradossale eppure, in qualche modo, giusto.
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