SCUOLA AUGUSTO CAPERLE CLASSE TERZA C – PERCORSO DI LEGALITA’ PROSPETTIVA FAMIGLIA
LA MIA COSTITUZIONE
Maggio 2016
Introduzione
La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare (Piero Calamandrei)
Approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola il 27 dicembre seguente, la Costituzione Italiana fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1 gennaio dell’anno successivo.
Già Benigni, in un suo famoso spettacolo, ci ha fatto notare quanto sia bella la nostra Costituzione. È bella perché è laica, pluralista, pacifista, solidarista, democratica.
È bella e ci appartiene, è nostra, dei nostri padri, scritta con sangue e fatica, ma con la speranza nel cuore di costruire un nuovo inizio, una nuova Italia, che usciva distrutta dopo vent’anni di fascismo e cinque di guerra.
Nel nostro percorso di educazione alla legalità abbiamo voluto proprio partire dalla Costituzione per acquisire una nozione più profonda dei diritti di cittadinanza e sviluppare la consapevolezza che condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, sicurezza non possono considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette.
In classe abbiamo quindi sfogliato e letto alcuni articoli della Costituzione, apprezzandone le parole e il significato. Abbiamo commentato il contenuto e cercato di capire cosa potessero significare per noi leggi che rappresentano la carta d’identità di ogni cittadino italiano.
Ogni alunno ha scelto, quindi, un articolo che aveva qualcosa da dire per lui: un ricordo, una riflessione, un racconto, una critica, una speranza.
Infine si è messo su carta quanto pensato.
È stato un modo per rendere viva la Costituzione, per sentirla propria.
Wanna Bianchi
Elisa Rose Arcosti
Articolo 11: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Kassie si svegliò con la sveglia che bippava ogni due per tre. Non la sopportava più ormai. Ogni giorno la solita solfa: dormiva beatamente e poi bip, iniziava l’incubo vero. La spense con un gesto brusco della mano per poi precipitarsi in bagno. Si fissò per un attimo: aveva capelli mori lunghi come spaghetti scompigliati che le ricadevano sugli occhi neri e grandi, che sembravano addirittura sproporzionati per il suo viso dagli zigomi dolcemente pronunciati e dal mento leggermente sporgente.
Si vestì in fretta e prese lo zaino per poi precipitarsi di corsa fuori di casa e compiere la solita maratona fino a scuola.
Sarebbe dovuta esser stanca di far ritardo a scuola, eppure il piacere di dormire qualche minuto in più non glielo toglieva nessuno, nemmeno il professore di italiano che ogni mattina le ripeteva le solite cose e lei, puntualmente, lo ignorava.
Mentre correva lungo il marciapiede e il cielo si rabbuiava minaccioso, notò dalla parte opposta della strada Antonio, appoggiato goffamente ad un albero, intento a intrattenere una conversazione con Lilli, che a sua volta era intenta a intrattenere una conversazione con Giovanni; questo, poi, non faceva altro che guardarsi i piedi, aspettando che un divino aiuto spuntasse dal nulla per togliergli di torno i due. “Sempre il solito” disse tra sé e sé.
Era da anni ormai che conosceva tutti e tre, eppure il tempo non le era bastato per capire fino in fondo cosa si nascondesse dietro quel modo di fare timido che lo caratterizzava: forse a lui era successo qualcosa di brutto. Forse persino più brutto di
quello che era successo alle famiglie di tutti loro. In mezzo ai rivoluzionari gran pochi avevano parentele unite e complete e gran pochi provenivano da ricche famiglie. La maggior parte erano contadini che arrivavano dalla campagna e che si riuniva con gli altri di rado. Quelli che come lei abitavano in città spesso dovevano far da messaggeri e la cosa era complessa per via dell’identità della gente con cui avevano a che fare. Sfortunatamente i tre si accorsero che lei li stava fissando e la richiamarono con un cenno del capo. Si maledì mentalmente e attraversò la strada.
Antonio le sorrise beffardo: -Oggi riunione generale! Vieni. -.
Lo fissò per un attimo sbigottita: avrebbe saltato un ulteriore giorno di scuola. Scosse le spalle rassegnata al fato e si unì ai tre che lentamente la scortarono al solito furgone bianco vaniglia. Salì di malavoglia e cercò di farsi piacere il più possibile quella gita fino al Nascondiglio. Attraversarono praticamente tutta la città prima di arrivare alla periferia, per poi da lì passare ai piedi dei dolci pendii.
Non appena si ritrovarono davanti al grosso capannone diroccato che assomigliava tanto alla torre di Pisa in formato appiattito e allungato, Kassie trattenne un verso di disapprovazione e di malcontento: notò che molta gente stava entrando dall’ingresso principale, tra cui Acciuga che proveniva dalle montagne del Nord. Non era un buon segno. I montagnoli venivano avvertiti quando la questione era urgente.
Uscì dal sedile posteriore e si adagiò sull’erba che ballava sulle ali della fresca brezza mattutina. Sospirò ed entrò trattenendo il fiato nel Nascondiglio. Ancora una volta si ritrovò di fronte a duecento persone senza la più pallida idea di dove dovesse andare a sedersi.
Scrutò tutte le sedie attorno ai tavoli e decise di occupare un posto appartato. Non lo fu per molto. Arrivarono, come cani attratti da una bistecca, Antonio, Lilli e Giovanni, ancora una volta intenti a chiacchierare ed ignorarsi reciprocamente.
-Cosa succede stavolta? –Chiese Kassie.
-C’è una spia. Il Vecchio vuole perquisirci tutti questa mattina e seguiranno una serie di interrogatori. – Le rispose Antonio.
-Questa presunta spia nell’ultima missione ha sabotato tutto allertando la polizia. Penna e Dodo sono stati arrestati. Non sai che guai che hanno ora. –
Ripensò ai due volti noti, che vedeva ad ogni riunione, e cercò di ricavarci il vero nome. Forse era addirittura meglio che non sapesse il loro vero nome, come loro del resto non conoscevano il suo. Quando si gioca con la polizia, meglio non far sapere l’identità altrui e nemmeno la propria.
Così, all’interno dei Rivoluzionari, nessuno adottava il proprio nome di nascita e tutti si spacciavano per altre cose o persone o animali … c’era chi si faceva chiamare Wurstel, Ape…e poi c’era lei, che si distingueva col nome Nihal. Lo amava e non sapeva mai spiegare alla gente perché l’avesse scelto. Era più come se il nome avesse scelto lei. Mentre fissava distrattamente annuendo Lilli, coi suoi capelli neri che gentilmente ondulavano ad ogni parola, il Vecchio apparve dietro di lei in piedi, al solito tavolo di fronte agli altri che si distingueva per l’esser l’unico di legno.
-Gradirei un po’ di attenzione prego –Tuonò.
Lilli, impaurita, si mise a sedere senza fiatare più. A ruota arrivarono Antonio e Giovanni e poi tutti gli altri. Il silenzio ormai avrebbe regnato incontrastato, se non fosse stato per la roca voce del Vecchio.
-Credo voi siate al corrente di cosa sia accaduto a malapena una settimana fa, no? Bene, allora comprenderete di sicuro la mia decisione. Ciascuno di voi sarà sottoposto ad un interrogatorio e ad una rapida perquisizione. Se non siete d’accordo, vi ricordo il vostro giuramento. Le uniche persone che invece verranno con me saranno Nihal e JC. Ora, accomodatevi nel secondo capannone prego. –
Finito il discorso, tutti si alzarono silenziosamente a capo chino, chi magari digrignando i denti e chi magari sbiancando, ma comunque senza emettere un solo suono.
Si allontanarono dalla stanza per poi uscire e lasciarla vuota. Anzi, parzialmente vuota dato che all’interno erano rimasti Kassie, quel presunto ragazzo JC e il Vecchio, in piedi ad occhi socchiusi, mentre scostava con la mano rugosa i candidi capelli.
Era ancora confusa del perché fosse lì, quando con un cenno della mano fu invitata a sedersi al Tavolo. Deglutì pensando al peggio e si avvicinò.
Si sedette e accanto a lei si accomodò JC, con l’aria da spaccone. Lo squadrò di sottecchi e notò che era davvero un bel ragazzo: capelli color miele con riccioli che contornavano il viso ambrato e gli occhi verdi foresta che scrutavano altezzosamente il mondo.
-Voi due, siete stati presi per una missione. Domani, dovrete andare sul campo di battaglia. Abbiamo stabilito di prendere decisioni radicali e quindi intervenire direttamente, dato che manomettendo la rete e le armi e altri sistemi operativi non siamo riusciti ad ottenere nulla. Il vostro sarà un discorso pacifico che dovrete citare al centro del campo minato, in un punto senza mine dove vi caleremmo. Sono consapevole del fatto che questo sia altamente rischioso e potreste rimetterci le penne, ma, come sapete, è da due anni che ci occupiamo di progetti per fermare il nostro esercito. Abbiamo lavorato con manifestazioni, manomissioni e così via. Eppure nulla. Siamo al punto di partenza, con un popolo che non fa altro che gridarci contro, quando noi stiamo cercando di aiutar loro. Serve qualcosa di radicale e voi due siete perfetti. –
Ciò che si era dimenticato di dire era che erano probabilmente i due non servivano a nulla all’interno dei Rivoluzionari, a causa della loro giovane età. Entrambi infatti erano della prima superiore e si erano uniti ai Rivoluzionari perché credevano di poter cambiare le cose, rendere l’Italia un paese senza guerra ed il mondo un posto migliore. Il problema stava nel fatto che l’esercito italiano andasse a bombardare per presunte “missioni benefiche” l’Africa, che a sua volta bombardava loro per difesa. Bisognava rimediare allo sbaglio di quest’esercito italiano inadeguato. La conseguenza era una popolazione impaurita e impoverita che fissava il cielo per scorgere puntini neri che si avvicinavano o che pregava giorno e notte perché la guerra cessasse una volta per tutte.
Kassie aveva ben in mente il volto di suo padre mentre guardava dalla collina quella bolla nera cadere, per poi scoppiare e travolgerlo tra lingue di fuoco rosse. Era sopravvissuta, perché rintanata nel terreno. Suo padre no. Una parte di lei no.
Il suo compito all’interno dei Rivoluzionari era sempre stato quello di spionaggio, ossia di riferire all’opinione pubblica ciò che stava accadendo. Altri membri avevano il compito di “modificarla”, ovvero di stampare su giornali, imprimere con le bombolette spray sui muri, urlare per strada la verità. Ad esempio che l’esercito italiano stava attaccando e non stava assolutamente facendo beneficenza in altri paesi, che il governo li stava impoverendo perché si assorbiva tutti i soldi delle tasse per pagare le truppe in Africa o alcuni addirittura se li intascavano proprio, che i Rivoluzionari stavano aiutando la popolazione e non uccidendo, che quella guerra non era essenziale, anzi. Ma che dire? Quando si parlava di petrolio tutto si poteva fare, persino ammazzare la propria gente!
Il mondo era diviso in due parti, ciascuna delle quali tirava l’acqua al proprio mulino. Chi stava a fianco dell’Africa non lo faceva per aiutarla, anzi. Lo faceva per ricavare per se stesso petrolio. Quindi di paesi che veramente intervenissero per o placare la guerra o sostenere i deboli non ve ne erano, e il minimo che i Rivoluzionari potessero fare era schiarire le idee agli uomini, alle donne, ai bambini, agli anziani, agli italiani tutti e, se possibile, anche agli altri. Qui la guerra era per il petrolio, non per missioni benefiche in Africa. Non erano questi ultimi che “prendevano male la cosa”. No, era il mondo che li opprimeva e, per far sì che la gente comune condividesse, lavavano loro il cervello, inculcando idee dolci e affettuose, dove dietro erano nascoste parole orribili e spietate. Annuì vagamente con la testa e si ricordò perché avesse deciso di unirsi al gruppo. -Quindi in pratica andremmo a morire. Non ci potreste dare una pistola? – Chiese JC. -No, mi spiace. Dovrete cercare di arrangiarvi. Ricordate: se voi sopravvivrete il mondo cambierà. –
-È una missione suicida. In pratica ci state dicendo di tentare di scendere a compromessi con due fronti che non hanno fatto altro che combattere. È assurdo – Ribadì Nihal.
Il Vecchio la fissò con i suoi occhi glaciali per poi rispondere semplicemente: -Hai proposte migliori? –
Lei lo guardò esasperata e scosse la testa rassegnata. Si girò e vide JC che sorrideva a se stesso come se si fosse raccontato la barzelletta più esilarante del mondo. Nihal si alzò di scatto, infastidita, per poi dirigersi a passo pesante alla porta. La spalancò per ritrovarsi di fronte ad un acquazzone. Sospirò e si rintanò nella giacca, per poi correre al furgone a recuperare il suo zaino.
Decise di farsi la strada fino a casa a piedi perché i tre suoi accompagnatori erano ancora occupati nell’interrogatorio al capannone minore lì vicino.
Cominciò a camminare in mezzo al fango. Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando una mano le toccò la spalla e la costrinse a girarsi. Un volto ambrato esposto all’acqua le sorrideva: -Ho la moto. Vuoi che ti porti a casa? –
Lo osservò per un attimo, per infine annuire sfinita. Le fece cenno di aspettare e lei obbedì. Scomparve e dopo poco ecco un rombo di motore ed un casco nero che volò nella sua direzione. Lo prese al volo e se lo mise, per poi andare a sedersi dietro a JC. Si aggrappò con tutte le forse al suo addome non appena il veicolo si mise in moto. Sentì JC ridere e per poco non gli tirò un pugno dritto in pancia.
Gridò indicazioni stradali per tutto il tragitto, fino a quando non si ritrovò di fronte alla palazzina sua. Scese dolorante e porse l’elmetto ringraziando, per poi girarsi per salire nelle viscere dell’edificio.
-Esprimi un desiderio! – Sentì gridare.
Si girò e lo vide seduto comodo sulla moto spenta con il casco sotto l’ascella. -Vorrei sopravvivere un altro giorno! – Disse lei di rimando.
Lui sorride: -Qualcosa di un po’ più realistico? –
-Ehm, vorrei un biscotto al cioccolato prima di morire. Tu? –
-Io vorrei incontrare una ragazza che mi piaccia. Mi sono stufato di amare me stesso – . Lo guardò di sbieco un attimo per poi lasciarsi andare, scoppiando a ridere, mentre la pioggia le finiva in gola e si rendeva conto che probabilmente avrebbe sentito per l’ultima volta il piacere di quel liquido sulla pelle e sulla lingua.
Arrivò ben presto il giorno dopo e si ritrovò ad aspettare pazientemente l’autista che l’avrebbe portata alla stazione. Attese per circa mezz’ora di fronte al cancello prima di veder arrivare una Ferrari rossa smagliante con a bordo il Vecchio e JC, seduto dietro con il suo solito atteggiamento annoiato.
Non appena l’auto si fermò di fronte a lei, salì dietro, vicino al ragazzo, mettendo tra le gambe lo zaino.
Non aveva preso molto, tranne un cambio di vestiti e qualche porta fortuna. Il cuore le batteva a mille e non capiva come facesse JC ad apparire così tranquillo e pacato. Tutto le attraversò la mente, tranne la domanda più ovvia: perché il Vecchio aveva una Ferrari?
Passò un’altra mezzora con le mani in mano a pensare e pensare, mentre JC non faceva altro che sbuffare e giocherellare con le dita distrattamente. Ad un certo punto, però, sembrò illuminarsi e tirò fuori dalla tasca un tovagliolo di carta a forma di disco.
Lo srotolò e al suo interno apparve un biscotto marrone con gocce nere.
-Il tuo ultimo desiderio, no? -.
Kassie era così stupita da non riuscire a parlare. Rimase a fissare a bocca aperta il biscotto per un’eternità. Infine lo prese e lo mangiò e si rese conto che era buonissimo. Mormorò un grazie, quasi fosse una brutta parola, per poi volgere lo sguardo allo specchietto retrovisore e scorgere il Vecchio che rideva.
Si rigirò e vide JC che per la prima volta sorrideva, non beffardo, ma felice veramente. Durò poco e ben presto il suo sguardo tornò alle goccioline di pioggia che si rincorrevano sul finestrino.
Aveva cominciato a piovere, notò solo allora Kassie, e si rese conto che quel dono l’aveva momentaneamente distratta dal suo fato. Forse, era stato proprio quello lo scopo di JC.
Le venne detto che non sarebbe andata all’aeroporto perché era minorenne non accompagnata e perché era pericoloso, così sarebbe volata col Vecchio e JC sull’elicottero privato del primo. Ancora una volta non si chiese del come mai affogasse nei soldi, ma, d’altra parte, nessuno sapeva esattamente che giri avesse il Vecchio e quale fosse la sua identità. Potrebbe esser stato un criminale tanto quanto un prete. Raggiunsero il velivolo rosso come la Ferrari e salirono a bordo senza un solo sospiro, per poi decollare dal prato verde della campagna che aveva già da tempo seminato la fitta città. Quanto tempo ci avessero messo non lo sapeva, ma ogni istante del viaggio se lo godette il più possibile.
Forse erano passate due ore o forse tre. Sta di fatto che alle 13 precise sorvolavano i cieli caldi e sereni dell’Afghanistan senza incrociare nemmeno un aereo. Sembrava quasi che gli attacchi dal cielo fossero cessati.
-Oggi è festa per gli africani, per cui c’è una sorta di cessate il fuoco aereo. Solo via terra si combatte. Andrete là, nel mezzo di quello spiano desertico ai cui lati vi sono delle abitazioni. Quelle di destra sono di proprietà italo-americana, mentre quelle a sinistra africana. Tenetelo a mente. Ora vi lascio andare qui perché non posso proseguire oltre. Mi raccomando seguite la linea del confine. E buona fortuna. –
Li lasciò scendere lungo un pendio col sole che calava a picco sulle loro teste. Presero la mappa data loro dal Vecchio ove erano segnate le mine. Cominciarono ad avvicinarsi titubanti alle case sentendo alcuni colpi di fucile intervallati da ansiosi silenzi.
Man mano che andavano avanti cominciarono a scorgere alcune uniformi, alcuni fucili, alcuni soldati che si giravano a guardarli con la testa ancora seminascosta tra le rovine di edifici color caramello.
Gettarono gli zaini a terra e avanzarono tremando nel bel mezzo dello spiazzo, parzialmente coperto dall’ombra degli edifici di sinistra. Alcuni ordini volarono di qua e di là e i fucili erano puntati loro addosso. Continuarono imperterriti nella loro camminata fino a quando non giunsero al punto in cui si sentivano più al sicuro. Una volta lì, in mezzo, gettarono la mappa e si misero spalle contro spalle e JC cominciò a parlare in inglese rivolto ai nostri soldati, mentre Nihal traduceva in marocchino agli altri.
-Siamo Rivoluzionari. Siamo venuti per chiedere un accordo pacifico. La gente sta morendo. Per favore fermatevi. Bambini stanno morendo. E …-
Mentre i due parlavano Nihal scorse in lontananza l’elicottero del Vecchio che rimaneva lì, come se stesse filmando la scena. Infatti, si disse, la stava filmando. Se mai qualcuno avesse sparato contro di loro, lui avrebbe pubblicato il video. In quel caso probabilmente l’intera nazione si sarebbe schierata accanto ai Rivoluzionari e sarebbe insorta. Erano ragazzi…Erano una esca nelle mani del Vecchio.
-…è morto. Vi prego, fermatevi. –
Una volta terminato il loro discorso, il silenzio riavvolse la piana come un nastro di cellofan. L’aria era irrespirabile e il calore cuoceva la pelle.
Si chiese per un attimo cosa ci fosse di strano. Si sentiva come se quei soldati fossero turbati, non dalla sua presenza, ma quella di JC. Come se, lo conoscessero…
Nihal non sopportò la tensione, così infine disse, a voce abbastanza alta, guardando un punto fisso di fronte a lei: -Io ho avuto esaudito il mio desiderio prima di morire da te, però io non ho esaudito il tuo. –
-Sì L’hai esaudito, senza nemmeno saperlo. – Rispose lui con spalle tremanti. Le afferrò la mano e lei ricambiò la stretta con altrettanto vigore.
Gli occhi di tutti erano puntati su quella scena. Pensavano di esser riusciti a scendere ad un compromesso, di aver rasserenato gli animi, quando si sentì un “pum”. Nihal non fece in tempo ad accorgersi di quel che era accaduto che un fiume di sangue le fluiva
fino ai piedi. Sentì gridare il suo nome e una mano afferrarla mentre cadeva a terra, tenendosi il fianco tra le mani.
Gli americani gridarono qualcosa, un insulto, e riaprirono il fuoco. Una voce interruppe il tutto, una voce rotta dal dolore. Non quella di Nihal.
-FERMI! FERMI! -gridò a squarciagola JC.
Adagiò Nihal per terra per poi allargare le braccia per formare due stop riferiti ad entrambi i fronti.
Guardò il fronte di sinistra e disse: -Mio padre è il vostro capo. E mia madre è generale nel fronte inglese. Io, in nome di entrambi, vi dico di fermarvi. -.
Scese nuovamente il silenzio e le armi caddero a terra: tutti sembrarono riconoscerlo. Fu in quel momento che Nihal capì perché loro due: lei doveva essere il sacrificio, quello che avrebbe fatto scoppiare JC. JC che era il figlio dei due generali nemici, JC che si era unito ai Rivoluzionari per veder congiungere la famiglia, JC che non era JC ma il famoso ragazzo Edoardo Himsand, che tutti cercavano perché fuggito di casa da piccolo. Lui aveva desiderato lei e, morto il suo secondo desiderio, sarebbe esploso per aver almeno il primo esaudito.
Nihal chiuse gli occhi e sperò che quell’impresa fosse servita a qualcosa. Ciò che non avrebbe mai saputo era che, dopo il suo gesto, le parti giunsero ad accordo e la madre, ossia il generale Dowd inglese, avrebbe preso custodia del figlio e che la guerra sarebbe stata interrotta per “lutto familiare”. Successivamente il Vecchio avrebbe hackerato le tv nazionali per trasmettere il filmato e sarebbe insorta una rivoluzione contro il governo da parte di quasi tutti i paesi europei. Il risultato sarebbe stato che la guerra sarebbe terminata e sarebbe iniziata una rivoluzione civile a livello continentale. Ovviamente, i Rivoluzionari sarebbero stati ben accetti tra la gente; ma questo Nihal non avrebbe mai potuto saperlo, perché dalla landa desolata africana sarebbe uscita in braccio a un JC, furibondo col corpo molle senza la sua anima.
Matteo Ballini
Articolo 6: La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche
Era il lontano primo gennaio 1948 quando l’assemblea Costituente Italiana promulgò, dopo averla scritta, la Costituzione Italiana.
Nell’articolo 6 spiegava come fosse importante tutelare le minoranze linguistiche in tutta Italia. Nessuno, nemmeno i governi precedenti, si era occupato di questi gruppi allogeni, quando dovrebbero essere un patrimonio culturale inestimabile per il nostro paese. L’assemblea costituente aveva creato questo articolo a difesa delle popolazioni che hanno popolato l’Italia, che erano a tutti gli effetti cittadini come gli altri e non di serie B, come albanesi per via del protettorato d’Albania o il gruppo catalano nel caso della Sardegna. Ad oggi però il loro numero si è ridotto drasticamente: li si sta ancora tutelando o si vuole isolarli? Mi sembra che lo Stato favorisco la maggioranza Italiana, andando contro le direttive della Comunità Europea, che attuato un piano chiamato “Euromosaico”, con cui si impegna a finanziare e tutelare le lingue uniche e originali appartenenti alle nazioni che risiedono in Europa affinché esse non “muoiano”, ma stando alle statistiche sembra che in Italia molte lingue siano destinate a scomparire in un futuro non molto lontano.
Quest’articolo era stato creato per agevolare le nuove popolazioni appena annesse allo stato italiano, come il Trentino (non più austriaco-tedesco), e per non far ritornare le popolazioni nei loro vecchi paesi di appartenenza ed è per me una cosa buona e giusta perché gli stranieri devono pensare all’Italia come un bel paese accogliente. In più le terre, conquistate con sangue e sudore, dovremo a maggior ragione tenercele strette. Le minoranze linguistiche sono un patrimonio del quale andare fieri e non da dimenticare. Se non vogliamo, quindi, perdere queste bellezze culturali noi italiani dovremmo dar loro una priorità maggiore e ricordarci che sono state le nostre origini e le nostre tradizioni in un lontano passato.
Viola Benatti
Articolo 33: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. E` prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
C’era un piccolo paesino in campagna dove tutto era noioso. C’erano una scuola, un piccolo negozio di alimentari, un parco e le case dei pochi abitanti. Il sindaco del piccolo paese era una persona chiusa e barbosa, non ascoltava le richieste degli abitanti infatti tutti erano ormai rassegnati e tacevano in silenzio, anche se qualcosa non andava bene. Tutto cambiò un giorno di primavera quando per motivi di gestione la dirigente delle scuole dovette andarsene e così ne arrivò una nuova. Una donna sempre sorridente, piena di ideali e molto intelligente, si chiamava Margherita Wilson. Appena giunta nella città si sentì piuttosto turbata: vedere tutte quelle persone annoiarsi e fare sempre le stesse cose dalla mattina alla sera era davvero deprimente!
Iniziò la sua carriera il giorno seguente, quando andò per la prima volta a scuola. I bambini non erano come sempre di buon umore e questo la incitò ancora di più ad iniziare una rivoluzionare in quel paesino.
Tutti gli alunni erano seduti su delle sedie davanti a lei, quando iniziò a parlare. “Buongiorno a tutti bambini, sono la nuova preside, chiamatemi pure signorina
Margaret. Ho pensato di…” non riuscì nemmeno a finire la frase perché nessuno la ascoltava più. Tutti facevano qualcosa per conto loro, così si alzò e se ne andò seccata. Attraversò la strada e bussò al portone del municipio. “Scusate devo parlare con il sindaco!” disse lei. Un ragazzo la scortò in una stanza, lo studio del sindaco. Si sedette su una sedia ed iniziò a parlargli della situazione: nessuno la ascoltava ed il paese era davvero noioso, bisognava spronare le persone ed incitarle ad essere più speranzose e felici. Non si organizzava niente e la gente era sedentaria nelle proprie case. “Io non ci posso fare niente.” Disse il sindaco alla povera signorina, che a malincuore uscì dalla stanza. Qui nessuno la capiva, non era giusto. Lei voleva una città piena di colori, non in bianco e nero. Dopo alcune riflessioni le venne in mente un’iniziativa. Il giorno dopo fece riconvocare tutti quanti in aula magna ed iniziò a parlare. “Cari bambini, mi dovete aiutare. Organizzeremo per domenica una festa al parco dove tutti i cittadini saranno invitati, distribuiremo fogli, pennelli e colori e ognuno potrà disegnare ciò che vorrà sul proprio pezzo di carta. Dovete divertirvi e imparare l’arte, non solo stare seduti sui banchi di scuola, senza fare niente”. Tutti rimasero a bocca aperta per un secondo e poi iniziarono ad applaudire. In quei giorni tutti i ragazzi stavano collaborando per la preparazione della festa: facevano cartelloni da appendere nelle strade, coloravano volantini e facevano girare la voce di questa novità. La gente era piuttosto entusiasta e, per la prima volta, iniziava a sorridere. Solo il sindaco non voleva assolutamente che si organizzasse questa festa, non voleva che i suoi cittadini si divertissero e voleva una città tranquilla senza complicazioni. Così mandò una lettera alla nuova dirigente con scritto di non realizzare la festa, ma lei gliene scrisse una di risposta, dove veniva citato l’articolo 33 della costituzione Italiana. L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
Il sindaco non sapeva più cosa dire: si rassegnò e partecipò anche lui alla festa. Tutti ormai avevano capito che l’importanza dello studio dell’arte a scuola e la felicità e la positività erano tornate tra la gente del paesino.
Nicole Comerlati
Articolo 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sue essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
Erano le otto del mattino e il cantiere aveva appena aperto, pronto per accogliere i suoi operai. Clarissa era una donna che aveva perso il padre. Viveva con sua madre e suo fratello più piccolo, ancora minorenne. Sua mamma stava male e non si poteva muovere dal letto da ormai due anni e l’unica che poteva sostenere la famiglia era Clarissa. Era appena diventata diciottenne, ma non aveva ancora un lavoro. Durante gli anni precedenti procurava cibo alla sua famiglia grazie alla coltivazione di un terreno, ma non bastava, e i soldi scarseggiavano, così dovette venderlo. In città, aveva sentito che nel cantiere di Ryson cercavano nuovi operai. Era la sua unica possibilità, così quella mattina si diresse lì. Non c’era nessuna donna, erano tutti uomini a lavorare. Clarissa si rivolse al responsabile del cantiere, chiedendo: -Ho bisogni di un lavoro. Siete la mia unica salvezza. – Il responsabile si mise a ridere insieme ad altri operai: – Una donna? In un posto simile? Non scherzare donna e torna a casa a fare ciò che deve una donna- Clarissa tristemente dovette andarsene. Non sapeva cosa fare, come comportarsi!
Passarono i giorni e la situazione peggiorava, non riuscivano a mettere sotto i denti cibo a sufficienza. Pensando, le venne in mente un’idea che avrebbe potuto funzionare… prese i vestiti di suo padre, se li mise e si tagliò i capelli corti. Indossò anche una fascia stretta al petto per non mostrare il seno. Ma anche se l’avessero tenuta, i soldi non sarebbero bastati. Suo fratello si avvicinò a lei e le disse: – Vengo
anche io! Voglio essere d’aiuto! – Il fratello insistette finché Clarissa non cedette. La mattina seguente si diresse al cantiere offrendosi per un lavoro. Il responsabile la osservò attentamente prima di dirle sì, sia a lei sia a suo fratello. Clarissa trattenne l’entusiasmo e si diresse immediatamente a lavorare. Aveva forza e fiato e non si arrestava di fronte a nulla. Spesso faceva anche la parte di suo fratello, dato che questo si stancava facilmente, non essendo molto abituato. Clarissa era un’ottima lavoratrice e nessuno sospettava di lei, finché in città si sparsero voci. Si diceva che Clarissa e suo fratello erano morti dalla fame per questo la madre stava tutto il giorno a casa da sola e che presto sarebbe morta anche lei. Dopo queste dicerie, una amica della madre una sera andò a vedere come stesse e, quando vide i due fratelli, rimase immobile. Non credeva a ciò che vedeva, pensava fossero fantasmi e la mattina seguente lo raccontò a tutto il villaggio. Si spargevano voci alquanto strane, dicevano che la madre riusciva a comunicare con i morti e che era un demone, fecero addirittura processioni sotto la loro casa per “scacciare il demone” al suo interno. Clarissa non ne poteva più di tutte queste ciance, così un giorno durante una processione, si affacciò alla finestra e urlò tutta la verità. Urlò che era una donna, che lavorava in cantiere perché le mancavano soldi per vivere e che suo fratello lavorava con lei.
La mattina seguente quando si presentò al lavoro il responsabile le disse: – Non avrei mai pensato che una donna sarebbe stata in grado di lavorare in un cantiere come questo, sei più barava di alcuni dei miei uomini e non ho intenzione di toglierti il posto che ti spetta. –
Giulia Corazza
Articolo 10: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici
Erano giorni ormai che Isaac tentava di scappare dalla sede del Governo centrale dove lo tenevano prigioniero. Aveva il piano pronto, doveva solo aspettare il momento giusto.
Era stato arrestato perché aveva tentato di trafelare alcune informazioni segrete riguardanti un commercio illegale di armi. Da lì a pochi giorni sarebbe stato giustiziato. Isaac era solo un ragazzino di diciassette anni con tanta voglia di cambiare il mondo. Fin da quando era piccolo sognava di vivere in un posto migliore di quello, un posto dove la gente è libera e i capi di stato sono persone oneste, che vogliono il meglio per il loro popolo e non solo per sé stessi.
Stava pensando a un modo per fuggire, andare in Italia e una volta arrivato continuare le sue indagini, anche se, essendo lontano, non sarebbe stato facile. Non poteva più rimanere lì o sarebbe stato ucciso.
Quella era la notte giusta per scappare: c’era molta nebbia e il cielo prometteva pioggia, quindi le guardie avrebbero avuto maggiori difficoltà a trovarlo.
Approfittò della mezz’ora di pausa che si ero preso l’uomo incaricato di sorvegliare la sua cella.
Qualche giorno prima era riuscito ad avere le chiavi della stanza grazie all’aiuto di un altro prigioniero, suo amico, e aveva modellato un pezzetto di plastica affinché assomigliasse il più possibile all’originale. In questo modo sarebbe potuto scappare tranquillamente.
Una volta uscito, iniziò a correre il più veloce possibile. Non sapeva esattamente dove si stesse dirigendo, ma non gli importava. Gli sarebbe bastato raggiungere la città e da lì sarebbe partito diretto in Italia.
Scelse proprio l’Italia perché era lo stato più vicino ad avere una legge che tutela gli stranieri. Facendo qualche ricerca aveva saputo dell’esistenza di un articolo della Costituzione Italiana scritto apposta per chi proviene da stati dove non è al sicuro. Guardò l’orologio e pensò che ormai dal carcere si sarebbero accorti della sua fuga e che quindi avrebbero mandato qualcuno a cercarlo. Lui però aveva già raggiunto il porto. Lì salì su una barca guidata da un suo amico, anche lui in fuga.
In un giorno di viaggio raggiunsero l’Italia.
I ragazzi dovettero spiegare la loro storia, mostrare i loro documenti agli addetti al controllo degli stranieri.
Gli uomini italiani capirono il problema e li accolsero nel loro paese.
Finalmente Isaac poteva sentirsi al sicuro, nonostante fosse lontano da casa. Gli mancava molto il suo paese perché, oltre alle tante ingiustizie, c’erano altrettante cose meravigliose, ma purtroppo lì non era ben accetto. Continuò comunque la sua missione, anche se non gli era possibile fare molto data la lontananza.
Jacopo Corradi
Articolo 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Sono sicuramente belle parole, ma discutendone a lungo con mio padre, che per diversi anni è stato sindacalista in quest’ambito, e documentandomi con programmi tv su internet, mi sono fatto l’idea che nella realtà i fatti sono diversi.
«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo…». Quindi è evidente che il diritto alla salute deve essere dato a tutti senza essere condizionato da fatti personali o sociali, anche al malato grave o incurabile, persino al morente.
Per aiutare la comprensione del termine “salute” l’OMS ha formulato nel 1948 la definizione, ancora oggi alla base del termine da più di 50 anni la seguente: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità”.
Ritornando all’Articolo 32, è anche evidente che gli aspetti della persona singola sono legati con quelli della collettività, quindi con quelli sociali: perché ciascuno abbia la salute è necessario che vi sia un coinvolgimento generale e non solo sotto il profilo economico-organizzativo, quanto soprattutto sotto quello della partecipazione attiva di tutti ad un interesse comune, il tanto decantato “bene comune”.
Tanto più rispettato sarà da tutti, governanti e cittadini, quest’articolo, in tema di salute, tanto più grande sarà la realizzazione di un diritto, quanto più ampio e “collettivo” sarà il contributo di tutti i cittadini.
Altro passaggio, «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». La tutela della salute parte da una adesione
libera e convinta, in altre parole ogni persona deve essere libera e consapevole e non subire passivamente l’intervento sanitario.
Un altro concetto che ho trovato interessante, passando in rassegna i vari scritti, è che: «salute non è solo assenza di malattia; ma stato di completo benessere».
Penso sia interessante perché segna in sanità un cambiamento, dalla cura del paziente malato alla prevenzione della malattia e alla promozione della salute.
Tutto questo però si scontra con i tagli in sanità, per cercare di rimettere in regola i conti dello Stato.
Leggendo un documento insieme a mio padre, la manovra economica 2015/2017, non mi sembra che ci sia la volontà di aumentare le tutele, ma di diminuirle sempre di più. Su quel documento si trova una diminuzione pari a 2,352 miliardi di euro della spesa sanitaria, quindi nulla di buono, visto che le principali voci di spesa interessate dai tagli sono i servizi, i dispositivi medici, la migliore gestione delle prescrizioni delle analisi e dei ricoveri ospedalieri, l’assistenza farmaceutica territoriale ed ospedaliera.
La manovra non si deve fare con la teoria del diminuisco a prescindere, ma i nostri governanti devono fare in modo che gli interventi nelle situazioni di spreco e di inefficienza presenti nelle strutture sanitarie e nei servizi siano risolti velocemente e i risparmi riutilizzati sempre nello stesso territorio in maniera “virtuosa”.
Questo non vuol dire che il sistema sanitario, non presenti sprechi e cose che non vanno, ma il seguire solo la strada dei tagli, porta solamente ad un aumento della spesa sanitaria nelle famiglie da una parte e dall’altra una diminuzione dei servizi alla comunità e, di conseguenza, il bene comune decade.
Oggi è maggiore la richiesta di interventi sanitari (invecchiamento della popolazione, innovazione tecnologica e farmaci innovativi) e quindi il Governo, le Regioni, le Provincie e i Comuni, devono fare progetti adeguati al periodo che stiamo vivendo, decidendo velocemente il cosa e chi lo dovrà fare, tenendo sempre presente che la salute è un diritto.
Mi è rimasto impresso il ragionamento del bene comune di Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae (1265-1274), che riprende il pensiero di Aristotele.
Per il filosofo greco, l’uomo è un essere politico che vive grazie alla città e all’interno di essa.
La politica è l’obiettivo ultimo, che organizza le relazioni tra gli uomini; il suo principio di azione è il bene maggiore della città, il bene perfetto che basta a se stesso, il bene umano.
Tutto questo però si scontra con quello che si sente e si legge tutti i giorni, dove le esigenze individuali sono vengono sempre messe davanti a quelle della comunità e questo porta all’egoismo alla chiusura e quindi le relazioni personali sono sempre più difficili.
Speriamo che le nuove generazioni (noi) si comportino in maniera migliore.
Caterina De’ Manzoni
Articolo 13: La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
“Dai, e che sarà mai!” “No, Andrea ho detto no! Okay?! No!” “Brutto fifone! Beh sappi che ti convincerò!” Andrea sorride beffardo. Oggi è una bella giornata di sole: finalmente è arrivato Maggio. A me piace molto Maggio: è un bel mese perché cominciano a vedersi i primi sprazzi di estate, ma non c’è ancora così caldo da voler lasciare la città. Si sta bene, il pomeriggio esci con gli amici, la mattina vai a scuola, ma la brezza fresca ti consola la giornata. Ah, la scuola! Io e Andrea ci stiamo andando proprio adesso, in bicicletta. Forse è difficile pedalare la mattina presto per le strade di Bari, ma stando sul marciapiede vuoto vicino al mare, con l’aria salmastra che ti riempie i polmoni è tutta un’altra cosa. Prendo un bel respiro. “Ah, amico, non fare così. Che tra pochissimo io non ne sentirò neanche parlare di mare.” “E perché mai?” Andrea sospira: “Ma sì dai Nicola, te l’ho già detta una miriade di volte.” “Beh,” rispondo sorridendo “Conoscendo la mia memoria me lo sarò già dimenticato!” Scoppiamo a ridere tutti e due. “Eh, Nicola, quest’anno invece che rimanere a Bari vado in montagna: in Trentino! Con le mucche, capisci, con le mucche! Io che sono marinaio dentro, mi tocca stare a mungere le mucche!” Andrea ha un papà che ha la vela nel
sangue, che ha fatto il suo primo viaggio in barca a soli due anni! Io, invece, ho un normalissimo padre elettricista. “Salutami una mucca e mandami una foto con lei quando arrivi!” Prendo in giro Andrea. Lui ride e scherziamo assieme.
A ricreazione Andrea viene a parlarmi: “Ti ricordi della casa abbandonata di cui parlavamo stamattina? Voglio andarci prima di rifugiarmi in una baita senza internet. Quindi, tu, io e la casa stregata oggi pomeriggio alle quattro.” E se ne va, senza darmi l’occasione di replicare, da quello capisco che devo andarci per forza. Sorrido e torno in classe.
Durante la lezione penso alla casa stregata, di cui abbiamo parlato io e Andrea oggi. Si trova a poche vie dalla mia, forse tre o quattro. È abbandonata o, se qualcuno ci vive, non si vede mai nessuno. Tutto intorno c’è un prato di erba alta e verde, ora che è primavera, ma d’autunno sembra la classica casa spettrale che si vede nei film di Halloween. È grande e nera con un tetto a spiovente di tegole rovinate dal maltempo e dagli anni. L’entrata dà su un portico ampio riparato da una tettoia di assi marce. L’interno nessuno sa com’è. Non si vede niente dalle enormi finestre laterali e sottili posizionate per tutto il perimetro, perché sono oscurate da tende pesanti e nere. Si racconta che lo spirito di un pirata fantasma vi abiti e che sia infestata dai suoi aiutanti zombie. Ovviamente sono bazzecole e io e Andrea vogliamo andare a vedere che cosa ci sia dentro veramente.
“Puntuale come sempre.” Borbotto tra me e me, guardando l’orologio che segna le ore quindici e un quarto. Sto per incamminarmi verso casa quando, dal nulla arriva Andrea in sella alla sua bicicletta. “Eccoti qua! Non arrivavi più!” Sorride, mette giù la bici e scavalchiamo il cancello di ferro arrugginito.
Attraversato a falcate il campo di erba verde, arriviamo, dopo quella che sembra un’eternità, all’ampio portico. Provo a suonare il campanello. Ma Andrea dice che sarà sicuramente disabitata. Come in risposta alla sua affermazione nessuno viene ad aprirci e all’interno della costruzione non si sente alcun rumore di passi. Allora Andrea alza le spalle e con un calcio butta giù la tremolante porta di legno marcio. Dentro è a
dir poco spettrale: ragnatele gigantesche appese in ogni angolo, tende nere e lugubri che rendono la casa ancora più lugubre e in più non fanno vedere granché. Dalla luce della porta si vede un lungo corridoio con delle scale sulla sinistra e due enormi porte sulla destra, una dopo l’altra. Entro e tiro la tenda della finestra più vicina, a questa si stacca e cade assieme alla struttura portante. In compenso ci ha illuminato le scale che ora stiamo percorrendo di corsa, sotto gli scricchiolii causati dal nostro peso.
Arrivati al secondo piano troviamo un sacco di stanze lungo un corridoio infinito. Ci voltiamo contemporaneamente, ci guardiamo, sorridiamo e corriamo velocemente ognuno da un lato diverso di un corridoio.
Troviamo di tutto: da orologi da taschino a quadri giganti, da pettini da mercatino delle pulci a specchi rotti in mille pezzi. Questa casa è veramente un mistero. Chissà chi ci è vissuto. Tutt’un tratto sento Andrea gridare: “Nicola! Vieni Presto! Ho trovato una cosa pazzesca!” Subito metto giù il fragile libro che stavo sfogliando e corro da lui.
Ci troviamo in una stanza molto grande, ma spoglia senza mobili, specchi o letti, solo un baule sul quale è seduta una figura spettrale, trasparente, senza forma. Il corpo è quello umano, solo che i contorni di questo corpo non ci sono, è come se non avesse forma, se fosse tutto sfumato. In più non è pallido, è verdognolo il colore della pelle. Quando vediamo in faccia il viso di quella figura inquietante subito prendiamo spavento e usciamo subito dalla stanza chiudendo la porta.
“Hai visto com’era conciato?!” Chiede Andrea ancora un po’ ansimante dalla paura. “No, Andrea! Scusami, ma ero troppo occupato a capire se ci rimanevamo secchi!”. Prendiamo un bel respiro e poi riapro la pesante porta in metallo.
La persona, o qualunque cosa sia, è ancora seduta sul forziere ed era girata verso di noi. “Beh, non mi aspettavo una visita dopo duecento anni!” Esclama i tizio con aria da pazzo. Portava un cappello in testa e una benda sull’occhio e aveva tutti i denti storti. Come il resto della pelle, anche il volto e i vestiti erano verdognoli. “Ci dispiace di essere entrati senza bussare” Comincio a parlare con cautela, “Ma non sapevamo che qua ci vivesse qualcuno.” “Eh, infatti non ci vivo! È stata quella vecchia megera di Maria a
incastrarmi! Ah lo sapevo che non dovevo fidarmi di lei!” E il vecchio comincia a parlare gesticolando per conto suo come fosse impazzito, rubato dai ricordi. “Ehi, signore! Scusi, signore!” Prova a chiamarlo Andrea. Nel tentativo di riportarlo alla realtà, Andrea fa per dare uno scossone al vecchio pazzo, quando la mano lo attraversa. Allora ci riprova e ci riprova, ma ottiene sempre lo stesso risultato. “Ah! Ho capito!” Esclama Andrea tutto contento, “Lui è un fantasma!” “Ma dai non dire bazzecole! Ti guardi troppi telefilm gotici!” “No no! Dico davvero Nicola! Chiediamoglielo.” “Beh, giovani, finalmente ci siete arrivati!” Esclama il fantasma. “La mia è una storia lunga.” Dall’espressione di Andrea si vede chiaramente che è soddisfatto di aver azzeccato. Io invece sono ancora molto perplesso, e penso che anche questo si intuisca dalla mia espressione. “Sedetevi, sedetevi. Dunque, da dove cominciamo… ah sì! Era il 1864…” “Frena frena frena.” Dico alzando le mani. “Prima cosa: chi sei? Seconda: da quanto tempo sei qui? Terza: perché vuoi raccontarci la tua stupida storia?” Il vecchio fantasma si ferma a pensare: “Allora, uno: Gianpietro Locatelli, due: circa duecento e ventitré anni o giù di lì, tre: perché così mi potrete liberare dalla maledizione.” “Quale maledizione?” Esclamiamo insieme io e Andrea. Solo che lui con fare eccitato, io molto preoccupato. “Sono un fantasma che molto tempo fa è stato incatenato in questa stanza tramite un maleficio che mi lanciò Penelope, la strega più potente d’Italia.” A questo punto io mi alzo e faccio per uscire, quando Andrea mi ferma e mi chiede: “Perché te ne vai? La situazione comincia a farsi interessante.” “E tu ci credi, sarà l’ologramma di un vecchio gioco del terrore che due stupidi come noi avranno messo qua parecchi anni fa. Dai su, andiamo che è tardi.” “No invece. Resta dai.” “No, no e poi no. Lo sapevo che era una brutta idea venire qui.” Allora Andrea mi prende mi solleva e mi costringe a sedermi per terra davanti al “fantasma”. “Raccontaci pure.” Dice Andrea.
“Quando avevo più o meno la vostra età” comincia il vecchio “Ero pieno di sogni e voglia di vivere. Così mi avventurai per il bosco che c’era vicino a casa mia. Vagavo tra i grandi alberi, quando vidi una bellissima fanciulla. Si chiamava Maria. Era seduta in
mezzo a una radura a raccogliere fiori e la trovai così carina che pensai doveva essere tutta per me. Allora la presi e la portai di forza in casa mia dove stette per due settimane, senza avere la possibilità di decidere se andarsene o no. Poi trovò il modo di scappare. All’epoca non sapevo che fosse una strega, lo scoprii molti anni dopo, quando ormai ero vecchio e lei mi aveva trovato. –Verrai punito per aver violato la mia libertà! – E detto questo, mi imprigionò nella mia stessa casa, come io avevo fatto con lei. Ma c’è un modo per spezzare la maledizione. Devo leggere l’articolo 13 della Costituzione Italiana. E voi siete qui per portarmelo.” “Tutto qui! E io che speravo in qualche caccia al tesoro emozionante!”
Così ricominciamo a girare per le camere a cercare un libro sulla Costituzione Italiana. Lo trovo io nella stanza che stavo esplorando, prima di imbattermi nello spirito di Gianpietro. Strappiamo la pagina riguardante l’articolo 13 e la portiamo al nostro fantasma che lo legge ad alta voce: “La libertà personale è inviolabile.” Detto questo lo spirito di Gianpietro, come per magia si volatilizza e si disperde nell’aria.
“Hai visto quanto è importante la Costituzione!” Dico ad Andrea. “Tu che non studi mai. Vedi di leggertela un po’ visto che vai a star solo con le mucche!” Ridiamo insieme e usciamo da quello che sarebbe stato il nostro piccolo segreto italiano.
Filippo Ferrante
Articolo 12: La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e
rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
L’articolo 12 della Costituzione Italiana descrive la nostra bandiera tricolore ed afferma che: “La bandiera della repubblica è il tricolore italiano verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di euguale dimensione”. Questo articolo secondo me è uno dei più importanti della Costituzione perché ci fa capire che la nostra bandiera tricolore è importante e soprattutto ci ricorda che è il simbolo che rappresenta il nostro paese. I tre colori descrivono le particolarità della nostra Italia: il verde rappresenta il colore delle nostre pianure, il bianco rappresenta la neve sulle nostre cime ed infine il rosso rappresenta il sangue dei nostri cari caduti in guerra.
Questo articolo sottintende anche il dovuto rispetto alla bandiera italiana o tricolore che va esposta solo in momenti memorabili come il 1 maggio (la festa dei lavoratori) oppure il 4 novembre (termine della Prima Guerra Mondiale e festa dell’Unità Nazionale delle forze armate). A volte è concesso esporla anche quando si festeggia una vittoria nazionale, come quando gioca la nazionale italiana di calcio.
La bandiera, comunque, come simbolo dello Stato, non va esposta a caso: si potrebbe infrangere la legge dell’articolo 12 della costituzione italiana e potresti ricevere una multa abbastanza “salata”.
Per me questo articolo ci fa capire che il simbolo ufficiale del nostro paese va tutelato ed è bello che ci sia qualcosa che ci contrassegni.
Nicola Giarola
Articolo 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Era il 2089 e in Italia c’era moltissimo inquinamento.
Ogni uomo o donna non gettavano la spazzatura in luoghi appositi, ma la buttavano nel primo posto in cui si trovavano, persino in mare, dove si era formata una vera e propria discarica. C’era sporcizia anche nei posti più inimmaginabili, come ad esempio sui tetti delle case e addirittura nei musei. Le maggiore discariche in Italia erano l’Arena e il Colosseo.
Il problema maggiore era che le acque del Mediterraneo andavano a confluire nell’oceano Atlantico, portando sporcizia anche nel continente americano, che aveva annunciato di chiudere i commerci con l’Italia, qualora non avessimo ripulito il nostro paese. L’Italia allora radunò tutti i più grandi scienziati dello stato per realizzare una macchina in grado di disintegrare tutta la spazzatura nei mari e sulla terra.
Nel frattempo, però, dal Mar Ionio uscì un enorme mostro composto da spazzatura che si avviò verso la terra ferma. Il mostro era enorme, alto all’incirca cinque metri e interamente composto da immondizia. In Italia allora si sparse il panico, tanto da chiamare l’esercito che si affrettò a cercare di placare il mostro che piano piano si stava avvicinando sempre di più alla terraferma. L’esercito arrivò addirittura a chiamare i cacciabombardieri e i carrarmati, che non riuscirono nemmeno a scalfire l’essere deforme, ma soltanto a rallentarlo un po’.
Dopo un mese il mostro non era ancora stato disintegrato, ma giunse buona notizia: gli scienziati avevano creato delle pistole, alimentate con materiali ecologici, che permetteva di sminuzzare la spazzatura, utilizzando un laser che avrebbe emanato un aroma fragrante.
L’esercito quindi, dopo essersi armato di quelle strane pistole, abbatterono il mostro gigante e andarono in giro per l’Italia distruggendo la sporcizia.
L’Italia allora per fare in modo che non tornasse una situazione come quella vissuta, aggiunse un articolo alla Costituzione Italiana, il numero 9, che dichiarava:” La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Così facendo, l’America riaprì i commerci con l’Italia.
Caterina Menegatti
Articolo 34: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Annabelle aveva appena dieci anni, figlia di genitori ebrei.
Aveva trascorso una vita “normale”, come ogni altra persona, perché non era diversa. Era cresciuta come tutti, felice e spensierata nella sua infanzia. Se solo avesse saputo quello che le sarebbe successo di lì a poco… Aveva vissuto una giornata tranquilla, e come tutti i giorni era andata a scuola, dove aveva passato un bellissimo pomeriggio con le sue amiche e poi era tornata a casa. Aveva cenato con la sua allegra famiglia, con i suoi genitori e i suoi due fratellini.
Si mise a letto, esausta, e si addormentò in pochissimo tempo.
Annabelle era una bambina ingenua, giocava tutto il giorno, non si accorgeva dei costanti piccoli cambiamenti che si aggiravano intorno a lei.
Non percepiva il cambio di umore dei suoi genitori, la preoccupazione e la tristezza che piano piano riempiva loro gli occhi, come se potessero prevedere quello che sarebbe successo.
La mattina seguente tutto cambiò.
Si svegliò alla solita ora, come sempre allegra e felice, si vestì in fretta, perché come tutte le mattine voleva andare a suonare il campanello della sua amica Matilde per percorrere il tragitto sino a scuola insieme.
Stava per prendere il piccolo zainetto carico di quaderni e penne colorate, quando sua madre la fermò dolcemente “Tesoro, oggi non si va a scuola”. Annabelle con volto
perplesso ne chiese il motivo e sua mamma disse che era una giornata di festa e la scuola era chiusa. Strano, pensò Annabelle, non era al corrente di nessuna festa. Successe di nuovo per almeno altre due settimane, in cui la madre inventava scuse e motivazioni finte, dicendo alla ragazzina di non andare e scuola e nemmeno uscire di casa.
Ad Annabelle quella situazione non piaceva e intuì che qualcosa non andava per il verso giusto. Pochi giorni dopo pensò bene di chiedere alla madre cosa stesse succedendo, perché non potesse più andare con le sue amichette a scuola, perché non avesse più i compiti che a lei piacevano tanto, che la tenevano occupata nei momenti di noia.
I genitori decisero che era arrivato il momento che più avevano tenuto. Avevano sempre tenuto lontano da ogni preoccupazione la loro figlioletta, proteggendola e allontanandola dai problemi. E adesso, che le avrebbero sbattuto in faccia la verità, avevano paura di spezzare il suo innocente cuoricino.
Probabilmente fu così. Le spiegarono cosa significasse essere ebrea, cosa stava accadendo, che non sapevano il motivo, ma non erano accettati tra la gente e che, di conseguenza, non poteva più frequentare la scuola con le sue solite amiche. Le promisero inoltre che tutto sarebbe passato in fretta, che presto avrebbe potuto continuare a giocare con le sue amichette nel giardino della scuola.
Non passò molto tempo che la famiglia di Annabelle dovette nascondersi.
I genitori sapevano che prima o poi li avrebbero cercati ed iniziarono il trasloco prima del previsto, terrorizzati per il futuro dei loro figli.
Aiutati da un carissimo amico di famiglia, Jonas, e da un paio di famiglie anch’esse ebree, trovarono una casa abbandonata, in un quartiere di periferia della città, con un grande scantinato, freddo, ma molto spazioso, che allestirono nel miglior modo possibile …
Annabelle dall’essere una ingenua bambina diventò una ragazza matura, crebbe più in fretta del previsto.
Si sentiva vuota dentro, priva di emozioni, si sentiva male al solo pensiero delle sue amiche, che non la volevano più.
Emarginata, da sola, per crimini che non avevano commesso. Perché nessuno la voleva più? Cosa aveva fatto di male? Perché da un giorno all’altro la sua vita era cambiata così? Perché proprio a lei?
Non era più la Annabelle di una volta, quella non esisteva più. Quella nuova era cupa e scura in viso, si documentava su tutto quello che stava accadendo intorno. Se prima dimostrava a malapena dieci anni adesso se ne sentiva addosso il doppio. Provava una certa rabbia verso i suoi genitori che l’avevano tenuta all’oscuro di tutto, ma con la costante paura che un soldato tedesco apparisse alla porta dello scantinato e li portasse via per sempre. Proteggeva i suoi fratellini minori come una madre.
Ma quello che più di tutti le mancava e la faceva arrabbiare era la scuola Perché in fondo in fondo la tanto “odiata” le mancava terribilmente. In fondo era l’unico momento in cui non doveva badare ai suoi fratellini, in cui poteva essere spensierata e felice con le sue amiche, che le rendevano le giornate indimenticabili, con cui trascorreva la maggior parte del tempo, chiacchierando durante la lezione.
Si sentiva tradita, loro non la volevano più ed ogni volta che ci pensava le lacrime bagnavano le sue soffici guance. E non la volevano più per quale motivo? Per una differenza che solo loro vedevano? Perché cosa cambiava da loro ad una ragazzina ebrea? Credevano troppo alle parole delle persone ignoranti, di misteriosi crimini e malvagi piani che gli ebrei commettevano non rendendosi conto che quelle stesse persone erano uguale a loro. E le mancava leggere colorare e scrivere, raccontare le sue giornate sul suo diario segreto, che teneva con tanta premura.
Ora non ne era più capace, i pensieri che le attorniavano la mente le impedivano di scrivere e l’ansia non le permetteva di leggere.
Aveva però iniziato ad informarsi sulla guerra che si espandeva sopra la sua testa e riusciva a leggere qualche notizia a riguardo, aumentando l’ansia che un soldato tedesco avrebbe fatto irruzione da un momento all’altro.
A scuola poteva correre e strillare in giardino, mentre nella cantina poteva a malapena parlare e, se aveva la tosse, doveva per forza tapparsi la bocca, per non far insospettire i vicini.
Annabelle insieme ai suoi genitori e altre due famiglie rimasero in quello scantinato per mesi e mesi, quando un giorno qualunque dalla porta principale d’ingresso sentirono un rumore.
Il panico si scatenò in loro, si potevano benissimo udire i passi di numerose persone che camminavano indisturbate sopra le loro teste, ma chi poteva essere? I soldati tedeschi? I proprietari che venivano a riprendersi la casa abbandonata? O i vicini insospettiti? Certo, la mente viaggiava verso la prima opzione.
In un attimo cercarono più nascondigli possibili, radunarono mobili e vi si posizionarono sotto con i bambini, ormai magrissimi per la carenza di cibo che si facevano procurare da un carissimo amico.
Non successe nulla. La stessa situazione si ripeté nuovamente: qualcuno veniva quotidianamente a controllare la casa, eccetto la cantina. E allora tutti presero la fatale decisione di cambiare nascondiglio. Difficile fare un trasloco, seppur con pochi oggetti, mentre tutti ti stanno cercando per ucciderti, per eliminarti.
Ce la fecero e in due settimane furono pronti, ma era stato tutto troppo facile, no?
Il gentile Jonas portò prima tutti i bambini nel nuovo alloggio e li lasciò lì con la promessa che sarebbero tornati più tardi con tutti i genitori … Quello che successe sconvolse tutti.
I genitori insieme al caro amico non fecero mai ritorno: sua moglie, infatti, aveva spifferato tutto. Temendo che il marito venisse messo nei guai, aveva rivelato tutto alla polizia. Solo i bambini si salvarono e Annabelle si prese l’incarico di curare la decina di bambini che stavano con lei in attesa della mamma, bambini piccoli affamati, distrutti dalla perdita dei genitori.
Molti morirono a causa della denutrizione, altri seppur in condizioni pietose vennero ritrovati appena in tempo.
Annabelle crebbe, con il desiderio di andare a scuola, ma con il terrore di essere cacciata, di non essere voluta da nessuno. Crebbe senza genitori e senza scuola, sconvolta per sempre, non rendendosi conto di quello che le era successo.
Ebbe due bambini che amò più di se stessa. Li allevò, li mandò felicemente a scuola e lei stessa nel pomeriggio li aiutava a fare i compiti, così si esercitava con la scrittura e cercava che avessero numerosissimi amici, di ogni religione perché lei lo sapeva che non c’era nessuna differenza fra lei, i suoi figli e le altre persone, che sapevano amare allo stesso modo, erano uguali. Nessuno avrebbe mai potuto ostacolare la crescita dei suoi bambini, nessuno avrebbe mai potuto condannarli alla solitudine e alla tristezza.
Anna Morando
Articolo 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
“Mi dispiace signora Verdi, ma alle donne non è permesso il diritto di voto! Sono obbligato dalla legge a farla uscire subito dal seggio elettorale” Disse con un tono imponente il signor Marani, spingendo la signora all’esterno del casale.
Il signor Marani era il sindaco a quel tempo del comune di Sona. Era un uomo basso, abbastanza robusto, con gli occhi verdi e i capelli brizzolati, molto vanitoso e prepotente.
Dopo un’ora circa si presentò nella stessa stanza un uomo molto alto e magro, con occhi a mandorla e carnagione giallastra. Questi prese da un tavolo un foglio di carta color rosa e si diresse verso un angolo del locale, per scegliere la sua preferenza. Quando il signore dagli occhi a mandorla prese la penna, il sindaco gli rubò di mano la scheda, stropicciandola in malo modo.
“Se ne vada subito!” urlò Marani “Lo sa che le persone di diversa razza non possono avere il diritto di voto!”
“Si!” Rispose l’uomo “Ma io ormai vivo in questo paese da oltre dieci anni!”
“Non se lo faccia ripetere un’altra volta” Disse il sindaco e contemporaneamente l’uomo immigrato lasciò il seggio.
Più tardi, verso le quattro del pomeriggio, varcò l’uscio del locale un uomo di religione ebraica, che frequentava ormai da moltissimi anni il consiglio comunale di Sona, ma fu rispinto dal signor Marani per la religione in cui credeva.
Altre persone furono cacciate dal seggio elettorale perché erano di lingua diversa da quella italiana, perché avevano opinioni politiche diverse da quelle del sindaco o semplicemente perché credevano in religioni diverse dal cattolicesimo.
Tutta questa gente fu turbata dal fatto che non potesse andare a votare e così decise di dare il via a una rivolta.
I lamenti furono ascoltati e nel 1948 nacque la Costituzione italiana.
Scritta e approvata dall’Assemblea Costituente, dopo il fascismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Costituzione repubblicana, cioè democratica, entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
Se adesso le donne e gli stranieri con cittadinanza possono avere il diritto al voto è solo grazie alla forza di quelle persone.
Lorenzo Ottaviani
Articolo 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Questo sembrerebbe ovvio, ma non è così.
Oggi noi esprimiamo le nostre idee in vari modi, su social network o semplicemente con la parola.
Questo articolo esiste dal 1948, prima c’era il fascismo con Benito Mussolini che abolì la libertà di stampa nel 1926.
A me è capitato in passato di non aver potuto esprimere la mia opinione.
Alle elementari, mentre con la mia classe stavo svolgendo un lavoro di gruppo, ho chiedo ai miei compagni di cambiare una frase perché secondo me era sbagliata e loro non mi hanno lasciato parlare e non mi hanno ascoltato.
Io ero piccolo, quindi lasciai perdere, ma se succedesse ora, mi dovrei imporre per esprimere il mio pensiero, perché è un mio diritto, lo dice la Costituzione Italiana. Bisogna lottare per le proprie idee e i propri pensieri.
C’era un famoso illuminista di nome Voltaire che disse: ”Non sono d’accordo con quello che dici, ma mi batterò fino alla morte perché tu abbia il diritto di dirlo.”
Se si censura la stampa, si ha controllo di un popolo, infatti Mussolini tolse la libertà si stampa e iniziò a controllare tutti i mezzi di comunicazione di massa dell’epoca come il cinema e la radio.
L’Italia è al 40° posto in classifica mondiale come paese con libertà di stampa, al primo posto c’è la Finlandia e all’ultimo la Corea del Nord.
Tutto ciò dovrebbe far riflettere.
Mattia Pasquato
Articolo 40: Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.
L’articolo numero quaranta afferma che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Lo sciopero è una forma di protesta basata sull’essere contrari ad un certo tipo di comportamento tra datori di lavoro e lavoratori.
Questo articolo è sempre stato usato dai lavoratori per far valere le proprie ragioni. Per esempio l’aumento del salario oppure il miglioramento della sicurezza.
La Costituzione vede lo sciopero come un diritto e non prevede penalità per chi sciopera, come licenziamenti oppure provvedimenti disciplinari come multe. Tuttavia, l’articolo quaranta, prevede dei limiti per l’uso di questo diritto. Lo sciopero comporta la sospensione momentanea del lavoro, dunque chi sciopera non crea danno a nessuno, ma solo disagio, allo scopo di farsi ascoltare o di apportare dei cambiamenti necessari a volte per migliorare la qualità, lo stipendio dei lavoratori, l’ambiente di lavoro e la sicurezza. Infatti negli ultimi decenni proprio grazie a queste iniziative i lavoratori hanno ottenuto qualche miglioramento.
Il primo sciopero nella storia dell’uomo viene fatto risalire intorno al 1150 a.C., quando nell’Antico Egitto, durante il regno del faraone Ramses III, i cittadini del villaggio di Deir el-Medinet misero in atto questa pacifica forma di dissenso. Pertanto è evidente che è da millenni che il lavoratore utilizza lo sciopero per farsi ascoltare affinché vengano portati dei miglioramenti sul posto di lavoro.
E grazie all’intervento di associazioni sindacali le cose sono migliorate.
Alessandro Rancan
Articolo 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
L’Articolo 1 della nostra Costituzione diede finalmente un’identità alla nascente Repubblica Italiana.
L’articolo afferma che l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Come si vede, sono due frasi, due concetti molto semplici e molto brevi ma la loro importanza è altissima.
Si dichiara, come prima cosa, che l’Italia è una Repubblica democratica, e lo si afferma in assoluto. Questo significa che la Repubblica, la democrazia e l’Italia non sono separabili l’una dall’altra. La forma repubblicana non può essere messa in discussione e quindi mai più monarchia, o dittatura, o impero, o qualsiasi altra forma di Stato che non sia pienamente democratico e repubblicano.
Si sostiene poi che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro. Penso però che questo concetto nobile sia in realtà molto debole, non afferma nulla se non una speranza, e non obbliga lo Stato a dare lavoro a tutti. Infatti l’Italia ha moltissimi disoccupati e, nel passato, tantissimi italiani sono dovuto emigrare all’estero per lavorare.
Io stesso mi sono reso conto di questo fenomeno e, quindi, lo posso testimoniare: sono stato più volte a Londra e sono stato sorpreso nel trovare moltissimi ragazzi italiani, giovani, che si sono visti costretti, per necessità o per scelta ad andare a lavorare all’estero come camerieri, commessi o altro, con la speranza di potersi costruire un futuro lavorativo migliore rispetto a quello pensabile in Italia.
Molto più concreto e importante è invece il secondo concetto espresso con cui si vuole stabilire, una volta per sempre, a chi spetti la sovranità, cioè chi sia il detentore iniziale e finale dei poteri di decisione dell’Italia repubblicana.
Secondo questo lo Stato è depositario del potere di comando; esercita questo potere attraverso gli organi del suo ordinamento; ma questi organi ricevono la loro autorità e forma dal popolo che, direttamente o indirettamente, attribuisce loro i poteri.
Con questo pensiero si sottolinea il fatto che quindi la sovranità appartiene al popolo, cioè anche a ciascuno di noi e credo che questa sia una cosa importantissima, che non dobbiamo mai dimenticare.
Non è il presidente del Consiglio, non sono i parlamentari che comandano: essi sono solo i nostri rappresentati e devono o dovrebbero ascoltarci e mettere in atto le nostre aspirazioni ed i nostri desideri.
Dice ancora l’articolo 1 che il popolo, cioè tutti noi, esercita questa sovranità, nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ho cercato di capire cosa significhi questo e credo di aver compreso che gli strumenti e gli atti di sovranità popolare devono essere solo quelli previsti dalla Costituzione e non possono essere né più né meno di quelli. Nessuno può per propria iniziativa aggiungerne di nuovi e nessuno può togliere o sminuire quelli esistenti.
Credo che la nostra Costituzione sia uno strumento bellissimo, ma mi pare che molto spesso le persone che si trovano ai posti di comando ne facciano un pessimo uso. Purtroppo le notizie che le cronache degli ultimi anni ci riportano sono poco incoraggianti, bisognerebbe che tutti coloro che operano per lo Stato decidessero di lavorare con onestà e serietà, rispettando così a pieno questo documento che è stato scritto tanti anni fa.
Elisa Righetti
Articolo 16: Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.
Brandon è un ragazzo di 16 anni. È molto tranquillo e la sua passione è pubblicare video su Youtube, dove canta e suona. Ha iniziato quando aveva solo 14 anni ed ora è conosciuto in tutto il Paese. Questo suo interesse gli permette di incontrare le sue fan, fare foto con loro, divertirsi e soprattutto suonare e cantare. Lui definisce la sua vita molto movimentata e piena di emozioni, ma in fondo è un ragazzo come tanti. Si alza alle sei di mattina per andare a scuola; arrivato a casa, pranza; studia e poi si dedica a quella sua fobia. Un giorno viene contattato da una famosa azienda produttrice di libri, “Mondadori”. Ormai questa azienda è veramente conosciuta quasi in tutto il mondo e quel giorno Brandon non poteva crederci. Era sempre stato un amante di libri, soprattutto quelli che raccontavano la vita delle persone, le autobiografie, ma non gli dispiacevano nemmeno i libri di fantascienza, dove poteva prendere ispirazioni per le canzoni che scriveva. Aveva sempre sperato di essere contattato, ma senza risultati. Quel giorno però era arrivata quella chiamata, che lui definisce “Epica”, dove gli chiedevano di scrivere un libro sulla sua vita, su quello che faceva da piccolo, su come passa e passava le giornate, cosa ama, cosa gli piace fare e via dicendo, insomma un libro autobiografico.
Una volta uscito il libro, il ragazzo avrebbe girato il Paese, per incontrare le fan, chiunque sarebbe voluto andare ad un suo raduno/concerto avrebbe dovuto soltanto comprare il libro nel centro commerciale o alla Mondadori dove lui presentava il testo
e dopodiché cantava, richiedere un pass che permettesse di saltare la fila e incontrare per prima il proprio idolo e il gioco era fatto.
Da quel giorno a Brandon sembrava di vivere un sogno. Non poteva ancora crederci.
Era venerdì e il ragazzo era andato ad alloggiare in un hotel di Milano perché la domenica, poi, avrebbe avuto un concerto con Meet and Greet alla Fabrique. Ma quel venerdì non tutto andò per il verso giusto. Alla reception c’era una ragazza che non voleva far alloggiare il cantante nell’hotel. Continuava a dire che non poteva accogliere clienti minori, che doveva essere accompagnato da uno dei genitori, che la guardia che lo scortava non andava bene, perché non era il padre. A quel punto a Brandon, venne in mente quel tema che aveva fatto alle medie, quello su un articolo della legge italiana, l’articolo 16 di preciso, gli era rimasto impresso.
Così, con tono deciso e fermo disse: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determina da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.”
La ragazza rimase stupita, andò a controllare su internet ed era vero! Si scusò e diede le chiavi della camera alla guardia che lo accompagnava, così che la domenica sera avrebbe potuto svolgere il suo concerto.
Tommaso Zanotti
Articolo 54: Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
L’Articolo 54 della Costruzione Italiana afferma che “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”
In parole povere, in uno Stato democratico, le leggi sono approvate in Parlamento dalla maggioranza dei rappresentanti del popolo. Una volta che le leggi sono entrate in vigore tutti hanno l’obbligo di rispettarle, anche le minoranze, e, se non lo fanno, subiscono le sanzioni previste. Chiunque, però, può criticarle e può lottare pacificamente per cambiarle. Può accadere tuttavia che una legge imponga un obbligo che alcuni cittadini considerano contrario alle loro convinzioni morali o religiose. In casi del tutto eccezionali la legge riconosce il diritto all’obiezione di coscienza. In Italia, tale diritto è riconosciuto ai medici nei confronti dell’aborto.
È una legge fondamentale per ogni luogo, soprattutto in Italia dove la Costituzione e le leggi sono spesso violate o dimenticate.
Questa legge funge anche da legame tra il cittadino e la Costituzione e le atre leggi, le quali permettono una convivenza civile nel paese e garantiscono il pieno esercizio della libertà. Il secondo comma parla invece di quei cittadini che lavorano per lo Stato: tutte quelle persone che lavorano in uffici pubblici e hanno il compito di decidere e lasciare documentazione in nome della Repubblica italiana.
Dice che queste persone devono rispettare le regole imposte dal Governo e che non devono approfittarsi delle loro funzioni per scopi personali o illeciti altrimenti sarebbe un abuso di potere.
La Costituzione fu scritta da uomini e donne che erano appena usciti da venti anni di fascismo e cinque di guerra e avevano ben presente cosa significasse abusare di un potere.
Carlo Zarattini
Articolo 52: La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.
Scarponi in cuoio rigido, caschetto traballante, pantaloni pesanti e caldo. È primavera, ma mi devo abituare a queste cose perché non sono nulla se confrontate a quello che mi può accadere. Il mio compagno di baracca è senza un dito … gliel’hanno amputato ieri, in seguito ad una infezione che poteva risalire tutto il braccio. Mi ritengo fortunato! Ho ventitré anni sono di Modena ho deciso di fare il militare, perché credevo mi appassionasse questo tipo di “lavoro”, la difesa della patria, ma non pensavo fosse così faticoso, ma soprattutto distruttivo, psicologicamente; perché una delle cose più brutte della guerra è uccidere il nemico, passarci a fianco e vedere che in mano aveva la foto del suo figliolo, che proprio in quel momento pregava affinché suo padre non venisse ucciso.
Con questa divisa io ho l’obbligo e l’onore di difendere il mio paese, l’Italia e la mia patria, gli Italiani.
Sono in trincea da quasi un anno, ma voglio tornare a casa.
Prima di partire pensavo dentro di me, che la guerra, il fronte, fossero la mia casa, ma evidentemente mi sbagliavo di grosso.
Ogni volta che sento un colpo di fucile partire dalla trincea opposta, mi vengono in mente tutti gli eventi più belli della mia vita, la paura di essere uccisi e di non rivedere la mia famiglia è tanta quanto la voglia di uccidere il nemico e farla finita una volta per tutte.
La carabina pesa tantissimo per questo ho male anche alle braccia, il poggi spalla è di legno di pino e la canna in alluminio. Da quel tubo può uscire la pallottola che uccidendo il nemico può salvare il mio popolo, quello per cui sono venuta a battermi, su questo campo di battaglia, almeno questa è la mia idea, questo è il mio pensiero: scendere in trincea per dare il meglio e forse salvare la propria patria.
Qua, qua sotto si è obbligati a dare il meglio, perché non è come a scuola che se non dai il meglio di te, prendi un brutto voto: se in guerra non ti impegni, rischi la tua vita e di conseguenza quella del tuo paese.
L’idea di venire al fronte, me lo ha dato la mia professoressa di italiano quando stavamo leggendo gli articoli della costituzione e a mi ha colpito subito il numero cinquantadue che prevede la difesa della patria. In guerra, come disse Wiston Churchill, non devi riuscire simpatico: devi soltanto avere ragione, perché lo scopo della guerra è vincerla portando a casa la “pelle”.