Prospettiva Famiglia – Ambito storico-culturale – progetto Cinema e Storia
in collaborazione con l’Istituto veronese per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea
IL LABIRINTO DEL SILENZIO
19 gennaio 2017 – Centro civico “N.Tommasoli”
Relatori:
- Prof.ssa Silvia Pasquetto
- Prof.ssa Manuela Rodriquez
Hermann Göring, Joachim von Ribbentrop, Wilhelm Keitel, Ernst Kaltenbrunner, Alfred Rosenberg, Hans Frank, Wilhelm Frick, Julius Streick, Fritz Sauckel, Alfred Jodl, Artur Seyss-Inquart: solo a pronunciarne il nome vengono i brividi.
Furono gli imputati del processo di Norimberga, tutti condannati a morte per impiccagione e sottoposti alla pena 15 giorni dopo la sentenza; solo il primo non morì in questo modo, essendosi suicidato con una capsula di cianuro immediatamente prima.
Le brutture causate dalla follia nazista sono a tutti note; le notizie che la storia di quel periodo ci riporta alla mente sono semplicemente spaventose. Non bastano le vicende belliche a spiegare quanto in basso sia sceso l’animo umano ed è per questo che vogliamo e dobbiamo ricordare. Non ci sono scuse: chi si è macchiato di quei crimini non può avocare l’aver eseguito gli ordini, né la necessità di adeguarsi al regime per non essere fucilato. Molto probabilmente – specie quando l’uomo si abitua alle violenze di uno stato di guerra – riesce a toccare abissi inauditi, riesce a perdere ogni dignità umana.
Il film di questa sera „Il labirinto del silenzio“ ci racconta anche questo; ci racconta, in particolare, l’aria che si respira a Francoforte sul Meno e, in generale, in tutta la Germania, circa 20 anni dopo la fine della guerra. E‘ l’atmosfera di chi vuole evitare di ricordare ciò che è successo, di chi vuole seppellire prima possibile le nefandezze accadute, di chi non vuole nemmeno pensare che i propri padri abbiano partecipato alle efferatezze dell’Olocausto.
E‘ un comportamento che possiamo anche capire: da un certo punto di vista, a nessuno fa piacere esporre i propri scheletri dall’armadio, a nessuno piace toccare argomenti che danno fastidio e creano una situazione davvero incresciosa per ciò che si è commesso personalmente o che ha commesso il proprio vicino di casa o un parente. Da un altro punto di vista, come dice il sostituto procuratore nel film „Io, nonostante tutto, amo il mio Paese“ e quindi per amore della propria patria, non ci si vuole esporre alle accuse del resto del mondo, convinti di non essere gli unici colpevoli, ma anche sempre trattenuti dall’amore per la propria terra e per il proprio popolo.
Sta di fatto – e qui sta il bello – che per fortuna, in mezzo a tanta gente che viene frenata dai sentimenti di cui sopra, c’è invece anche chi cerca la verità a tutti i costi, supera le ritrosie di chi deve accusare i propri connazionali, decide di andare fino in fondo solo e unicamente per amore della verità. E questo amore, si accende ancor più dopo aver visitato uno dei simboli più atroci dello sterminio nazista: Auschwitz.
Intorno a questo eroe dei giorni nostri, tanta omertà, tanto rifiuto nel collaborare all’apertura di una tomba che si vuole sotterrata per sempre: quella delle divise nere delle Schutz-staffeln con le due SS sul colletto, quella della notte dei cristalli, quella del regime del Terzo Reich con le violenze ed i soprusi che ha generato.
Nel film, il giovane avvocato Johann Radmann percorre questa lunga ricerca di notizie e testimonianze, arrivando – seppur fra mille difficoltà – a raccogliere prove sufficienti a portare alla sbarra 19 imputati, di cui 17 verranno condannati. E’ quello che la storia ci ha consegnato come “Il processo di Francoforte” o “Secondo processo di Auschwitz” contro altri criminali del famigerato campo di concentramento. Si trattò del primo processo che si tenne di fronte a una corte tedesca per i crimini dell’Olocausto. Che la Germania non abbia chiuso gli occhi – almeno in questa circostanza – di fronte a quanto accaduto, fa onore al popolo tedesco, così come – ancora una volta – si dimostra che l’animo umano non è una questione di razza, ma in ognuna vi sono persone riprovevoli e ammirevoli. E’ sempre una questione di amore e di sani principi.
Sta a noi decidere se farli nostri o ignorarli, indipendentemente dalla nostra lingua e dal colore della nostra pelle.
Anche in questa serata abbiamo cercato di portare a galla il meglio che c’è in ciascuno di noi; il coraggio, la perseveranza e la lealtà di questo avvocato devono rappresentare anche per noi il segno che dobbiamo farci testimoni del bene e della verità. A volte per farlo, bisogna toccare con mano il male che c’è intorno a noi, ma – se lo vogliamo veramente – possiamo far vincere il bene. E’ un po’ come quando voglio mettere ordine sulla mia scrivania: all’inizio creo un disordine pazzesco e mi pare di non trovare più nulla, poi però pian piano ritorna l’ordine e la chiarezza, le cose raggiungono il loro posto ed io sono nuovamente in grado di lavorare con la serenità di chi distingue nitidamente il bene dal male e sa prendere le giuste decisioni, senza tentennamenti, senza indugi.
Si avvicina il Giorno della Memoria e la serata era propria svolta con questo scopo: non dimenticare per non ripetere gli errori e le atrocità del passato.
Il tempo porta via i ricordi, ma noi possiamo tenerli vivi, ripercorrendo ciò che è accaduto 70 anni fa ed impegnandoci a trasmettere questo messaggio ai ragazzi; se cresceranno con questa conoscenza, avremo dato dignità a tutti coloro che non sono più usciti dai campi di sterminio e avremo posto le basi per una società migliore.
A presto.
Per PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO