Gli uomini passano, le loro idee restano, e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.
Questa frase contenuta nel libro testamento di Giovanni Falcone, intitolato Cose di cosa nostra (Rizzoli), scritto in collaborazione con la giornalista Marcelle Padovani nel 1991, riassume perfettamente il senso e il significato dell’incontro che si è svolto ieri alla Gran Guardia tra diverse rappresentanze di scuole veronesi e la sorella del giudice siciliano, la professoressa Maria Falcone. L’associazione Prospettiva Famiglia di Verona ha promosso e coordinato un progetto dedicato al tema della legalità che ha visto coinvolte 30 scuole del territorio locale. Nei mesi scorsi, i ragazzi hanno letto libri sulle mafie, hanno incontrato magistrati, esperti, rappresentanti di associazioni, hanno studiato e dibattuto in classe. Hanno prodotto dei lavori che ieri, di fronte al Sindaco della loro città e ad altre autorità, hanno presentato pubblicamente. Un video molto bello ha aperto la giornata. In sottofondo, come colonna sonora, la voce del grande tenore Luciano Pavarotti che cantava la celebre aria “Nessun dorma” di Turandot, un monito quanto mai opportuno nell’Italia e nel mondo di oggi. Sul grande video sono scorse le risposte dei ragazzi alla domanda: cos’è per voi l’illegalità? Ed ecco, tra le tante, cosa abbiamo letto: ignoranza, violenza, bullismo, vedere e lasciar fare, omertà, arroganza. Sicuri di sé e con al loro fianco i docenti che li hanno accompagnati in questo percorso di educazione alla legalità e alla cittadinanza responsabile, in questo cammino di memoria e di impegno, al microfono i ragazzi hanno pronunciato frasi del tipo: “La mafia si inizia a combattere da giovani”, “Se non ci fosse la mafia non ci sarebbe così tanta sofferenza”. “Dobbiamo avere più coraggio per lottare contro la mafia e cambiare il nostro Paese”. Presentando il “Totem della legalità” una giovane studentessa ha affermato: “Dobbiamo combattere il bullismo, non dobbiamo arrenderci ai soprusi e all’arroganza” e un suo compagno subito dopo ha affermato: “La paura deve essere accompagnata dal coraggio”. Un gruppo di studenti, infine, ha messo in scena un estratto di uno spettacolo intitolato “Atlantide”. Vestiti di nero, con un drappo rosso legato al braccio, stesi sul palco in mezzo a tante sedie gettate a terra, i ragazzi hanno pronunciato, tra le tante, una frase di Paolo Borsellino: “Parlate della mafia, parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Verona deve andare fiera di questi ragazzi e dei docenti che, pur tra mille difficoltà e carenze di risorse, hanno lavorato insieme a loro. Prima della mafia, gli studenti veronesi – non siciliani, calabresi o campani – ci hanno ricordato che è la sub-cultura della mafiosità, prima ancora della mafia, quella che dobbiamo combattere anche qui a casa nostra. Quell’insieme di pensieri e di comportamenti che danno la precedenza all’avere piuttosto che all’essere, all’interesse particolare anziché a quello generale, alla furbizia piuttosto che all’onestà, all’esclusione piuttosto che all’inclusione, all’esercizio della violenza (verbale e fisica) piuttosto che alla ricerca del dialogo e della mediazione, all’omertà piuttosto che alla denuncia, al “me ne frego” piuttosto che all’insegnamento milaniano dell’ “I Care” (mi riguarda, mi interessa). In vita, Giovanni Falcone è stato un uomo solo e cocenti sono state le sue sconfitte umane e professionali. Bocciato come aspirante consigliere istruttore, come aspirante Procuratore di Palermo, come candidato al Consiglio superiore della magistratura. Falcone non ha mai alzato la voce, non ha mai polemizzato pubblicamente, non si è mai roclamato vittima di oscuri complotti. Lui, da uomo che amava e rispettava le istituzioni, ha vissuto le sue molteplici sconfitte e amarezze in silenzio, cercando sempre una soluzione alternativa per poter continuare a combattere efficacemente le mafie, per rendere l’Italia un paese migliore. Siamo certi la sua solitudine terrena, sia stata in minima parte compensata dall’abbraccio corale che ieri tanti studenti e docenti veronesi gli hanno voluto attribuire.
Pierpaolo Romani