Genitori lasciati soli con i figli. L’Italia deve invertire la rotta
di Agnese Moro
La Stampa, 19 febbraio 2017
La tragica vicenda del suicidio del ragazzo di Lavagna ci mette di fronte alla solitudine dei genitori nel compito delicato e difficilissimo di seguire i figli nella loro crescita e nel lungo e burrascoso periodo dell’adolescenza. Alle famiglie viene chiesto tanto (sostituire il welfare zoppicante, produrre valori, controllare comportamenti devianti) e dato molto poco, dallo Stato e dalla società. Se un figlio prende una strada non buona devi arrangiarti.
Non sai che fare, a chi rivolgerti e sei solo. Se hai fortuna e un po’ di soldi puoi trovare professionisti seri che ti diano una mano; o avere sempre fortuna e vivere in luoghi con validi consultori familiari; in caso contrario rischi di mancare l’obiettivo. È per questo che mi sembrano così importanti quelle iniziative che cercano di non lasciare i genitori da soli con i loro problemi.
Penso alla Rete senza fini di lucro “Prospettiva famiglia” di Verona, che collega diverse agenzie educative della città – scuole, associazioni, parrocchie, volontari – per dare un appoggio culturale, formativo e di consulenza. La loro Scuola per genitori e educatori tocca molti argomenti come la salute, la crescita cognitiva e emotiva, la devianza, i bullismi vecchi e nuovi e tanti altri. Il loro fare rete ricrea giorno dopo giorno un tessuto sociale, una città che abbia a cuore i giovani e i giovanissimi e che si prenda cura di coloro che stanno loro più vicino.
Mi domando infatti – ed è un secondo elemento di riflessione che la storia di Lavagna, come purtroppo tante altre, ci propone – se la cura dei nostri bambini, ragazzi e giovani sia un affare che riguarda solo genitori, famiglie e addetti ai lavori o se non si tratti, invece, di un compito che coinvolge la società tutta e al quale abbiamo un poco rinunciato.
Si vede da quello che pensiamo di loro e al posto che non gli diamo nelle nostre priorità. Esempi? Il non-lavoro e le responsabilità che non gli affidiamo. Ma non basta. Negli ultimi 13 anni ho avuto tantissime occasioni di incontro con giovani e giovanissimi. Si sorprendono se ti interessi di loro; sanno che di loro si parla molto e male, ma che non interessa a nessuno ascoltarli; sanno che gli vogliamo bene, ma non gli facciamo spazio, non ci fidiamo, non scommettiamo su di loro. È l’Italia. Appena escono di qui la musica cambia. Vengono apprezzati. Hanno successo. E li perdiamo. Se cambiassimo rotta?