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EDUCARE ALLA RELAZIONE E ALLA COMUNICAZIONE IN FAMIGLIA
8 novembre 2013 – Teatro Alcione
Relatore: Psichiatra e scrittore Prof. Vittorino ANDREOLI
Teatro Alcione pieno in ogni ordine di posti (e qualcuno ha dovuto anche rimanere fuori) per assistere alla serata dedicata alla relazione e comunicazione in famiglia tenuto dall’illustre Prof.Andreoli; dopo aver ringraziato il padrone di casa, don Guido, parroco di S. Croce ed aver provato a tracciare una breve storia del vissuto del nostro relatore, la parola è passata a lui.
E Andreoli non si è fatto pregare nel fornire esempi efficaci e metafore forti per far passare il concetto che dobbiamo essere attenti osservatori dei nostri figli e cercare di vivere con loro, ossia condividere i nostri affetti e le nostre passioni e anche, perché no, i nostri momenti di difficoltà. Da troppo tempo, facciamo pensare loro che non si debbano occupare di noi, che non siano tenuti a condividere le nostre debolezze; noi padri, non siamo necessariamente, sempre perfetti, brillanti e sicuri di noi stessi, ma possiamo essere anche fragili. Laddove il concetto di fragilità non va confuso con quello di debolezza. Essere fragili è un po’ come essere un vaso di vetro di Murano: bellissimo, coloratissimo, un vero pezzo d’arte, soffiato da maestri vetrai, eppure basta un piccolo colpo e va in frantumi. La sua fragilità è al tempo stesso la sua bellezza.
Innanzitutto il nostro relatore ci ha invitati a non fare confronti fra la nostra adolescenza e quella di oggi, a non dire “quando ero giovane io …” perché ormai la realtà è talmente cambiata e talmente in evoluzione, che essa non può essere confrontata con il mondo di noi genitori, che risale a un mondo di qualche decennio fa, ma che nel frattempo è cambiato alla velocità della luce.
Nel parlare del nostro stare in famiglia, il Prof. Andreoli si è rifatto al sottotitolo dell’incontro “la famiglia, un insieme in cui le capacità del singolo e quindi la sua personalità irripetibile, sono fondamentali, ma devono contribuire alla riuscita di un risultato comune”; ecco allora la metafora dell’orchestra, dove ogni componente deve essere bravissimo nel suonare il suo strumento, ma dove il vero salto di qualità emerge nel “saper suonare insieme”, nel saper creare quella sinfonia, che sola può esprimere l’accordo dei singoli, la simbiosi con cui le note si mescolano in un miracolo unico e meraviglioso. E’ questo, secondo il nostro relatore, l’obiettivo di ogni componente della famiglia: premesso che il 1° violino dell’orchestra non può suonare l’oboe, resta il fatto che si deve creare quel clima di armonia che può generare le grandi opere. Come fare ? Non riempiendo i nostri figli di cose e di regali tanto numerosi quanto inutili, ma nello stare con loro, nel dire loro della nostra fragilità; nel dire loro – di fronte ad un compito sbagliato – proviamo a farlo insieme. Anche se non siamo abbastanza colti e preparati per aiutarli, loro capiranno il nostro sforzo di stare con loro e vicino a loro. Questo tentativo di … stabilire una relazione.
Andreoli ci dice che stabilire una relazione è come individuare fra noi e i nostri figli una lunghezza d’onda e, all’interno di questa banda sonora, scambiare i nostri messaggi con loro. Questi messaggi non devono essere necessariamente sempre allegri e sereni (questo succede solo nei film), ma possono essere anche malinconici o tristi. Beethoven non ha scritto solo L’ “Inno alla gioia”, ma anche una “Missa solemnis”; opere, pertanto, a volte allegre a volte tristi, ma pur sempre capolavori di armonia.
Questo è ciò che dobbiamo realizzare con i nostri figli.
Dopo la metafora dell’orchestra, il Prof. Andreoli è passato a trattare della fragilità, intesa come espressione sublime del nostro essere umani, del saper riconoscere i nostri limiti: ed è proprio in questo riconoscimento di finitezza che sta la grandezza dell’uomo. Il saper intelligentemente riconoscere i propri limiti e da questi ripartire, sapendo coscientemente ciò che può e ciò che non può fare. Qui ci ha portato la metafora del vaso di Murano e qui ci ha detto che proprio le persone fragili sono quelle che hanno fatto la storia. Vi sono esempi del passato che hanno segnato la storia, eppure erano persone davvero fragili. Ci ha portato l’esempio di Tommaso Moro, lo scrittore e uomo politico inglese che, dopo aver ricoperto varie cariche pubbliche ed essere arrivato al ruolo di consigliere del re Enrico VIII, si rifiutò di accettare l’Atto di Supremazia del re sulla Chiesa, così come rifiutò di disconoscere il primato del Papa. Una scelta coraggiosa che lo condusse alla fine della sua carriera politica e alla pena capitale. Un uomo semplice e fragile che però ha lasciato il segno.
Un altro esempio che ci ha fatto Andreoli è poi quello di Gesù, che anche nel momento di massima atrocità per morte sulla Croce, chiede una cosa semplicissima: chiede di poter bere. Segnali tanto semplici e tanto puri, eppure fatti da personaggi che hanno segnato il corso della storia.
Siamo passati poi a parlare di adolescenze difficili e adolescenze malate. L’invito è stato quello di non confondere le une con le altre; le adolescenze difficili ci sono, ma non dobbiamo farne un dramma, né considerare l’adolescente sempre come “un problema” o come “un costo”. E’ assolutamente normale che nella fase di adolescenza ci siano degli scontri; l’adolescente cambia il suo modo di vedere e sta costruendosi una personalità; è normale che nel fare questo possa fare degli errori (vede un brufolo come un problema insormontabile), ma ciò nonostante dobbiamo dirgli che noi ci siamo, che anche se ci fa soffrire (e glielo diciamo), siamo lì ad offrirgli l’affetto di cui ha bisogno.
Se pensiamo per un attimo a questi concetti, notiamo che ci sono stati forniti già in altre occasioni, anche se coniugati in modo diverso. Quando Andreoli ci dice che la famiglia dev’essere un’orchestra e non c’è il successo di uno, ma solo il successo o l’insuccesso di tutti i componenti, possiamo ripensare a quanto ci ha detto don Ciotti poco meno di un anno fa (“E’ il NOI che vince”). E quando Andreoli ci insegna che come genitori dobbiamo far capire ai nostri figli che, anche quando ci fanno soffrire, noi siamo lì, beh, non ce lo diceva persino il nostro Proc. Capo Schinaia ?
Messaggi quindi esposti con sagacia, esempi ed esperienze vissute sempre diverse, eppure basati sugli stessi inossidabili principi, a partire dall’amore per i nostri figli.
Laddove “amore” – ci ricorda Andreoli – non deve significare voler creare a tutti i costi un “potente”, fare in modo che “tu” possa diventare, che “tu” possa essere, che “tu” possa fare, bensì che “noi” possiamo diventare, essere o fare. Il “potente” in fin dei conti è un debole, è uno che non può esistere senza un altro su cui imporsi e su cui esprimere il proprio potere. Abbiamo troppi “potenti” oggi al mondo, cerchiamo di creare persone che non si diano da fare per affermare sé stesse, ma che lavorino per un successo comune, per far sì che gli altri possano trarre beneficio dalle loro qualità. Pensiamo a quanto fa bene a tutti i componenti di una famiglia quando uno di loro è una bella persona. Il suo valore a vantaggio del gruppo, le sue qualità a vantaggio della comunità: questa è la condizione per una vera crescita morale e civile.
Il nostro prestigioso relatore ha fatto cenno all’uso indiscriminato del “mondo digitale”; TV e cellulari sono utili per stabilire la comunicazione, ma non trasmettono affetti. Valgono solo per generare emozioni e reazioni, che però terminano nel momento in cui sono stati consumati; gli affetti, invece, travalicano la fisicità e ci sono anche quando la persona non c’è (anzi quando non c’è, sono anche più forti). Usiamoli, quindi, ma sempre con la consapevolezza che è meglio qualche SMS in meno e qualche minuto in più speso con in nostri figli.
Infine, il Prof. Andreoli ci ha parlato della sua grande soddisfazione per quanto in questi ultimi decenni si è scoperto sulla relazione fra la neurobiologia ed il comportamento umano. La sua teoria della “plasticità encefalica” è oggi vera più che mai: c’è una parte del cervello che è formata e solida fin dalla nascita. Ma ce n’è un’altra, dinamica, che invece si forma e si modella in modo diverso in funzione delle esperienze e del vissuto. Ed ecco allora, che quando educhiamo una persona, siamo come degli scultori che modellano il suo cervello, siamo dei piccoli Michelangelo in grado di tirare fuori il Mosè da quel blocco di marmo. Siamo in grado di trasformare una persona che fa cosa inaccettabili, in una persona con un cervello diverso, che fa cose accettabili e gradite. Lo dice nel suo libro “I segreti della mente” e ce lo ha detto anche stasera in questo incontro.
Non ci resta che fare tesoro di questi insegnamenti e provare a metterli in pratica.
Un piccolo ritaglio di vita vissuta: stasera, al ritorno dall’incontro con il Prof. Andreoli, mia moglie e mia figlia si sono messe sul tappeto a completare un bel puzzle. Vederle puntare insieme ad un risultato comune è stato per me un bell’esempio di “orchestra” e di “armonia”.
Concluderei con un invito che ci ha fatto il Prof. Andreoli: non preoccupiamoci di sapere se i nostri figli mangiano, ma preoccupiamoci di vedere i “segni” che ci sono e di parlarne con serenità e senza drammi: il dialogo come elemento risolutore di molti dei nostri problemi, il dialogo come ponte fra generazioni e come vera via d’uscita dalle inquietudini.
Parliamo con loro e – soprattutto – ascoltiamoli.
A presto.
Paolo