sabato 14 ottobre 2017 CRONACA, pagina 15
PERSONAGGI. Il fondatore Gruppo Abele davanti a 500 ragazzi al Pasoli
«La mafia c’è anche in Veneto: l’indifferenza è il nemico da battere»
Don Ciotti: «Chi fa finta di non accorgersi dei soprusi non è meno colpevole di chi li compie. Bisogna agire»
di Danilo Castellarin
«Io sono veneto e amo la mia terra ma che non mi vengano a dire che qui la mafia non c’è perché è un’autentica scemenza». Parte deciso don Luigi Ciotti, 73 anni, bellunese, il prete-coraggio fondatore del «Gruppo Abele» per aiutare i tossicodipendenti e poi di Libera, l’associazione che si batte contro i soprusi della mafia. Davanti a lui cinquecento ragazzi della «Rete scuola e territorio» lo ascoltano a bocca aperta.Un’altra freccia lanciata ieri all’Istituto Pasoli in collaborazione con l’Associazione «Prospettiva Famiglia» per seminare legalità fin dagli anni verdi. Cinquecento ragazzi insieme sono tanti. È venerdì. Qualcuno parlotta, ride, chiacchiera. È normale. Ma basta la mossa azzardata di un fotografo che salta sulla pedana per catturare l’immagine più intensa del prete che parla per far scattare come un giaguaro la guardia del corpo che vigila alle sue spalle. Di questi tempi, non si sa mai. I ragazzi capiscono chi hanno davanti. E per due ore non vola più una mosca.Ciotti attacca spiegando i suoi due riferimenti: Vangelo e Costituzione che in alcuni punti, dice, sembrano scritti dalla stessa mano. E continua spiegando che nella vita bisogna evitare le scorciatoie ma seguire la strada maestra della legalità. «Il problema più grande è l’indifferenza», sottolinea, «anche nella vita quotidiana di noi tutti, anche a scuola, al lavoro, in famiglia». Poi provoca: «Siete davvero sicuri di non aver mai chiuso gli occhi di fronte a qualche ingiustizia, di non esservi mai girati dall’altra parte?». Brusio in sala.E una punta di sconforto che sale, forse diventa imbarazzante nella coscienza di qualcuno pensando a qualche vittima delle chat, delle ironie, del bullismo e del linciaggio web, fenomeni in crescita, soprattutto fra i giovani. Poi cambia tono e diventa rassicurante. «Il problema più grande è l’indifferenza, l’incapacità di valorizzare tutto il buono che c’è. Dai ragazzi, mettiamoci insieme e facciamo una forza d’urto per far vincere l’onestà».I profe annuiscono, prima fra tutti Daniela Galletta, coordinatrice delle rete di scuole.Una biondina con la voce flebile chiede: «Ma si può davvero vincere?». «Certo», risponde il prete, «a patto che ognuno faccia quello che deve fare senza rifugiarsi dietro le scuse, le deleghe, l’indifferenza, perché ricordatevelo, chi fa finta di non vedere i soprusi non è meno colpevole di chi li compie. Bisogna partire dalle piccole cose, contaminando con il buon esempio anche quelli che preferiscono il gioco sporco». Nel mondo adulto gli esempi non mancano. Un adolescente alto uno e novanta sussurra a un amico come si fa a parlare di virtù a chi ha perduto l’impiego perché l’azienda dove lavorava da vent’anni ha portato la produzione dove il lavoro costa la metà. «Non ci può essere legalità senza uguaglianza», scandisce don Ciotti, «e un paese come il nostro si dovrebbe vergognare di non pensare agli ultimi della cordata e intanto arricchire le fabbriche di armi che nel 2016 hanno aumentato il fatturato dell’85 per cento vendendo morte ai paesi del terzo mondo, gli stessi dai quali poi la gente scappa per mettersi in salvo e arriva da noi, ma dalla porta di servizio, sui barconi sgangherati». Forse anche questo è mafia, anche questo è illegalità. Prima di don Ciotti hanno parlato il preside Sandro Turri, il dirigente dell’Ufficio scolastico Stefano Quaglia, l’assessore alla trasparenza e contro la corruzione Edi Maria Neri, il dirigente della scuola di polizia di Peschiera Giampaolo Trevisi e Alessandro Tortorella della prefettura scaligera che ha raccolto al volo l’appello del sacerdote e ha confermato: «Non esistono territori indenni dall’infiltrazione mafiosa, Verona compresa».