EDUCARE AL VALORE DELLO SPORT
Allenatori e Genitori, maestri di vita e nello sport
5 dicembre 2013 – Centro Civico “N. Tommasoli”
Relatrice:
– dott. Barbara TONIN – Psicoterapeuta e Analista Junghiana
Serata dedicata all’importanza di educare i nostri ragazzi al valore dello sport, quella che si è tenuta questa sera al Centro Civico “N. Tommasoli”. Una sessantina le persone presenti, fra cui molti allenatori delle società sportive della zona, per ascoltare la dott.ssa Barbara Tonin, esporre e interrogare la platea sul valore che dobbiamo attribuire allo sport e su come riportarlo ad un vero momento di crescita umana e civile di chi lo pratica.
Lo sport, stando alla dott.ssa Tonin, che va inteso in senso ludico; lo sport come gioco, lo sport come divertimento. Se i nostri ragazzi che praticano sport non si divertono, non c’è nessun altro elemento che può farci desistere dall’idea che ciò che sta facendo non va bene: o perché non è lo sport che fa per lui o perché l’ambiente dove lo pratica non è quello adatto. Sta di fatto che non dobbiamo farci prendere dalla frenesia di far fare ai nostri figli sport fin dalla più tenera età e soprattutto non dobbiamo farglielo fare in modo agonistico. Lasciamo che per qualche anno giochino e si divertano con il solo ed unico scopo di giocare e quindi di divertirsi. L’agonismo non deve necessariamente partire a 5 anni; si può anche aspettare un po’ e lasciare che da quel corpo e da quella testa, esca l’indicazione di ciò che realmente sente di fare.
Quante volte, invece, abbiamo proiettato sui nostri figli la nostra immagine ? Quante volte abbiamo desiderato che loro facessero il nostro stesso sport e magari fossero in grado di fare cose migliori delle nostre ? E, invece, molto spesso o il figlio vuol fare tutt’altro sport oppure anche se lo fa, non lo fa necessariamente con l’obiettivo che ci prefiggiamo noi, che vediamo in lui il nostro “vendicatore”.
Nient’affatto; non è così.
Il termine “agonismo” indica l’atteggiamento di chi cerca strenuamente e con tutte le sue forze di ottenere il massimo, possibilmente la vittoria, dal proprio gesto atletico; ebbene, questo termine deve coniugarsi con il termine “sportività”; laddove sportività indica il comportamento di pieno e totale rispetto delle regole del gioco e del rispetto dell’avversario. Troppo spesso, quando ci dicono che una persona è sportiva, noi lo intendiamo esclusivamente nell’accezione di “colui che pratica sport” e rarissimamente come di colui che porta rispetto per le regole e per l’avversario. E’ invece nostro dovere accogliere anche questo significato e soprattutto fare in modo che i nostri figli siano – prima di tutto – sportivi. La lealtà, la correttezza e l’onestà sono oggi considerati, nella vita reale, caratteri di persona vinte, persone che mai si affermeranno in un mondo di lupi. Ebbene, superiamo questa ipocrita interpretazione, e applichiamola anche nel mondo dello sport. In un mondo in cui fregare il vicino è considerato elemento di merito (si pensi a come viene complimentato chi confessa di evadere il fisco) dobbiamo elevarci a difensori dei valori veri dello sport; un grande complimento a chi vince o perde, ma lo fa nel totale rispetto delle regole; vergogna e ludibrio nei confronti di chi vince ricorrendo all’inganno e alle furberie.
Ma la dott.ssa Tonin ci ha anche ricordato che – essendo lo sport una metafora della vita – educare allo sport significa tirare fuori (ex-ducere) il meglio da questi ragazzi; il meglio sotto il profilo fisico-atletico, come sublimazione delle capacità fisiche dell’uomo, ma soprattutto il meglio sotto il profilo psicologico, farli crescere e generare in loro quella autostima e quella fiducia nei propri mezzi che rappresenta il miglior viatico nella lunga e perigliosa strada della vita. Lo sport deve quindi permetterci di formare persone autonome e responsabili, non solo nella pratica sportiva, ma in tutti i confronti della vita. La tensione di un pre-partita deve essere vissuta in modo positivo: è il momento in cui tirare fuori il meglio di sé, è il momento in cui si coronano decine di allenamenti, è il momento in cui dimostrare che si è bravi sportivi, ma prima ancora belle persone: persone capaci di mantenere la calma nei momenti di pressione, persone capaci di farsi trovare pronte al momento opportuno e capaci di ottenere quei risultati umani (il rispetto per l’avversario, il sostegno al compagno, la fiducia nei propri mezzi, …) che poi sono esattamente le qualità che dobbiamo dimostrare nella nostra vita sociale.
Perché, non è forse lo sport una bella e significativa metafora della vita ?
Lo sport ci deve quindi portare a dimostrare alcune qualità come il rispetto, la capacità di dare e ricevere fiducia, la fermezza e altre ancora. Giocatori migliori per essere uomini migliori.
Lo sport deve essere vissuto dai ragazzi in modo non apprensivo, ma fondamentalmente ludico. Un po’ di sana adrenalina non guasta, ma guai a far calare su questi ragazzi un clima di pressione esagerata; si rischia di demoralizzarli o di ingenerare in loro errate sindromi da prestazione (“ho perso la partita e quindi sono un perdente”).
La dott.ssa Tonin ha aperto poi il dibattito, chiedendo come si debba considerare un adolescente che decide di partecipare agli allenamenti, ma non alla partita. E qui sono emerse varie posizioni: chi ritiene che questa scelta nasconda l’incapacità di mettersi alla prova, chi invece sostiene che il vero problema di un tale adolescente è la vista della reazione del padre in caso di errore e chi ancora sostiene che invece è giusto così perché il ragazzo non si deve misurare con gli altri, ma solo con sé stesso.
Eccoci, quindi, toccare ancora una volta il tasto per il quale troppo spesso il vero problema dei ragazzi sono i genitori; quante volte i genitori danno indicazioni ai figli su come comportarsi in campo ? Un atteggiamento gravissimo, sia perché delegittima l’allenatore, sia perché le indicazioni dei genitori sono troppo spesso improntato al desiderio incontenibile di vincere a tutti i costi, anche a costo di commettere fallo e far male all’avversario.
Alcuni allenatori hanno ribadito che i genitori sono peggiorati negli ultimi anni con atteggiamenti apertamente infantili (il genitore che si sostituisce all’allenatore …) e spesso maleducati; chiediamoci allora se siamo dei buoni esempi per i nostri figli, se siamo davvero un simbolo da emulare. L’attuale stagione della Scuola per Genitori ha come motto: “Datemi genitori migliori e vi darò un mondo migliore” e ci pare fin troppo calzante.
Alcuni presenti in sala hanno ribadito l’importanza di misurarsi con sé stessi e quindi considerarla in ogni caso una vittoria quando si è fatto meglio rispetto a prima, qualunque sia il risultato finale. Teniamo però presente che l’aspetto più importante nel rapporto Genitori/Allenatori e ragazzi è quello di stabilire quel rapporto empatico che consente di trovare la chiave di entrata nell’animo del ragazzo, nelle sue motivazioni, nelle sue aspirazioni. Quando si trova questa chiave di entrata, si ottengono risultati incredibili e si riesce a tirare fuori dal ragazzo, l’uomo che era nascosto in lui e aspettava solo di essere svegliato.
Impegniamoci tutti, noi genitori, a rispettare gli allenatori nel momento in cui svolgono il loro importante lavoro; si impegnino gli allenatori a non scatenare nei ragazzi stupide pressioni sportive, ma a saperli motivare opportunamente perché dimostrino tutto il valore di cui sono capaci: quando ciò si realizza, il risultato finale del match non ci deve più interessare.
Infine, abituiamoci noi genitori ad applaudire i nostri figli, anche quando giocano male e perdono, a saperli rincuorare e ad aiutarli a far meglio la prossima volta, abituiamoci ad applaudire anche i nostri avversari: sono gesti di civiltà e di educazione che fanno bene a noi e ai nostri figli.
A presto.
Paolo
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