Si parte con il periodo precedente alla prima guerra mondiale e con le Avanguardie che danno il via a qualcosa di straordinario. Vengono ricordati Picasso, Kandisky , Duchamp, il cinema, la fotografia per spiegare una situazione di grande fertilità. Alla fine della guerra (cui tanti artisti avevano partecipano come volontari) dopo il 17-18 si ha una sorta di ritorno all’ordine, semplificabile nel “Sipario” di Pablo Picasso, del 1917. Si sente la necessità di rappresentare nuovamente le figure, le idee nate prima della guerra poi falliscono. In Germania alcuni, Otto Dix (“Trittico della guerra), vogliono rappresentare il conflitto, la desolazione; così fa anche provocatoriamente Grotz , che comincia una arte figurativa in cui si rappresenta il caos della città. Tutti gli artisti citati verranno messi da parte e La loro arte sarà definita degenerata.
A partire da queste opere d’arte si chiarisce come l’obiettivo dei tre incontri sia quello di incrociare lo sguardo dello storico con quello dello storico dell’arte e ci si chiede: Le arti figurative possono diventare delle fonti per lo storico. Il pittore può essere uno storico? La risposta è che l’artista spesso è uno storico involontario, un testimone oculare della sua epoca, che – quando la rappresenta – dà la sua versione dei fatti, esprime i suoi giudizi, i suoi pregiudizi,insieme alle sue capacità. Ci permette di confrontare la sua con altre verità. Molte opere ci dicono moltissimo del tempo in cui furono realizzate, ma è importante studiamo prima il pittore così come serve prima conoscere lo storico rispetto ai fatti che racconta.
Per spiegare questo viene analizzato il dipinto “Guernica” opera manifesto di Picasso, di cui si evidenziano il contesto in cui nasce, le caratteristiche formali, i richiami storici che contiene, provenienti per buona parte da miniature dei Commentari all’Apocalisse dell’XI secolo. Quando osserviamo il quadro non abbiamo davanti un tempo solo, ma tempi plurimi, oggetti temporalmente impuri: stare davanti ad una opera d’arte significa stare davanti a un montaggio di temporalità. Questo esempio apre una riflessione sul tema dell’anacronismo (implicito o esplicito, come nelle opere che ritraggono Hitler in armatura medievale) e sulle diverse temporalità che attraversano tutte le epoche storiche. Qui vengono ripresi i concetti di Braudel e la sua teoria del tempo attraverso la metafora del mare (il tempo breve dell’evento, il tempo medio delle congiunture, il tempo lungo delle strutture).
I diversi esempi citati vengono ripresi per approfondire l’Epoca dei totalitarismi, presentata attraverso le parole-chiave di Hannah Arendt (ideologia, organizzazione, terrore), ed alcune opere che mostrano l’idea del culto del capo in Germania e Russia fra gli anni 20 e gli anni 40. Si pone a questo punto la domanda: Esiste un’arte di regime? Nei diversi regimi esiste una forma di arte che abbia caratteri unitari? Si cerca di rispondere attraverso una serie di esempi (pittura e architettura) tratti sia dal regime nazista che da regime sovietico (nelle due fasi leninista e stalinista), affiancati a brani di discorsi dei dittatori o dei loro collaboratori più stretti (Goebbels e Zdanov)
Per la Germania nazista si esaminano le copertine di alcune riviste dell’epoca nazista e le opere di Adolf Wissel, Josef Thorak, Arthur Grimm.
Si approfondisce il tema dell’arte degenerata insieme alla cosiddetta “teoria delle rovine “ di Speer che mostra l’idea di immortalità insita nel regime.Un approfondimento viene dedicato al cubismo e a Picasso “il più degenerato dei pittori” mettendo in evidenza come proprio questa pittura non sia ‘brutta’ ma ‘pericolosa’: inquieta, pone domande, richiede all’osservatore un’energia psichica che rischia di farlo pensare troppo e quindi di renderlo non più un uomo-massa ma un uomo-autonomo, cosa che i totalitarismi non vogliono.
Per la Russia sovietica si esaminano le due fase: la prima in cui c’è un’adesione forte degli artisti alla rivoluzione del 1917; la seconda (a partire dalla malattia di Lenin e dal passaggio di potere a Stalin) in cui prevale il ‘realismo socialista’. Si analizzano le opere delle avanguardie come “il ciclista” della Goncarova, il Suprematismo di Malevic, e un’opera di Chagall. Confrontandole con le opere del realismo voluto dallo stalinismo di Boris Kustodiev, Vladimir Tatlin, Iury Pimenov, Vera Muchina, A. Deyneka, V. Jakovlev, Andreij Myl’nikov, Anatolij Levitin.
E si confronta l’espressione ‘realismo’ utlizzata dagli esperti d’arte con ‘idealismo’ preferita dagli storici
Appare evidente che il mondo è visto non per quello che è realmente, ma filtrato attraverso gli occhi del partito, che l’obiettivo non è far vedere ma far credere. L’arte in momenti di crisi nel regime sovietico svolge il ruolo di psichiatra sociale, presenta un futuro ottimista per superare un presente negativo.
L’incontro si chiude lanciando un ponte sul prossimo incontro con un riferimento all’uomo ideale dei regimi totalitari, l’uomo ‘banale’ per cui non esiste distinzione tra il bene e il male, per cui non esiste la distinzione tra il vero è il falso.
Qui si possono scaricare le slide utilizzate durante la serata.