EDUCARE ALL’AFFETTIVITA’ E SESSUALITA’ GLI ADOLESCENTI
Gli adolescenti approcciano la sessualità sempre più precocemente: cosa possiamo fare noi adulti ?
20 febbraio 2014 – Centro Civico “N. Tommasoli”
Relatrici:
- dott. ssa Anna MAROLI – Psicologa e psicoterapeuta
- dott.ssa Chiara BENEDETTI – Psicologa e psicoterapeuta
Valanga di temi affrontati al Tommasoli da due professioniste davvero brave in una serata “a due” ben gestita, sfruttando da subito il ritmo del dibattito con le circa 200 persone presenti.
Si è parlato di corpo, d linguaggio, di emozioni, di psiche, di relazione, di rispetto, di valori: si è navigato, con un filo conduttore ben preciso, nel mare magnum delle emozioni e dei comportamenti dei nostri ragazzi di fronte al tema della sessualità e dell’affettività. La dott.ssa Maroli ha subito esordito segnalando il fenomeno della precocizzazione: un fenomeno per il quale si abbassa sempre più l’età in cui i nostri figli cercano il rapporto intimo con l’altro sesso. Un fenomeno, tuttavia, non accompagnato da una parallela precocizzazione dei sentimenti e delle emozioni. E’ come se i ragazzi cercassero di accelerare i tempi sul piano della ricerca di fisicità, ma non avessero nella loro faretra le frecce di sentimenti già maturi e strutturati. Ne consegue che sempre più spesso si pongono domande del tipo: “se prendo degli stupefacenti sarò più prestante ?”, “e se poi non fossi all’altezza ?”, “che cosa denota una persona che pensa sempre al sesso ?”, “è vero che la prima volta è una delusione ?”, “ho paura dell’AIDS” e così via.
Tutte domande che abbiamo sentito ancora, ma probabilmente mai come genitori. E questo perché di queste cose raramente i figli hanno il coraggio e la forza di parlarne con i genitori, ma preferiscono informarsi altrove (amici, Internet, …). Purtroppo, come è stato ribadito l’informazione, pur essendo assolutamente preziosa, non basta e questo perché informare non significa educare. Se bastasse l’informazione probabilmente nessuno fumerebbe; ciò che serve assolutamente è l’educazione e questa viene da quella relazione empatica, più volte citata nei nostri incontri, che fa sì che fra genitori e figli si crei quello status di reciproca fiducia ed ascolto che sola può consentire la trasmissione dei concetti e dei valori più importanti.
Ci preoccupiamo tanto dei messaggi che arrivano ai nostri ragazzi dall’esterno (TV. Internet), ma forse dovremmo curarci ancor più di quelli che ricevono dall’interno della famiglia; vedono in noi esempi da imitare sul piano emotivo ed affettivo ? Siamo noi un reale esempio di rispetto e responsabilità nei confronti dell’altro o, come spesso accade, siamo espressione di freddezza e cinismo, quando non di grigiore e insensibilità ? Possiamo mostrare loro la nostra fragilità, ma non dobbiamo con il nostro comportamento calpestare emozioni e sentimenti.
In poco più di mezzo secolo siamo passati da uno stato di esagerata repressione dei sentimenti (la mamma che spezzava il disco di Baglioni con “Questo piccolo grande amore” …) ad una loro manifestazione a volte sin troppo esagerata; ne discende a volte un’inflazione di espressioni che forse meriterebbero maggior valore e quindi un uso decisamente più accurato (gente che dice “ti amo” praticamente a tutto e a tutti). Ma questo cambiamento (peggioramento ?) che vediamo nei nostri figli è spesso il riflesso di ciò che noi adulti siamo diventati.
Ecco allora giovani fanciulle che adottano un abbigliamento sin troppo procace, salvo poi lamentarsi che qualcuno le epiteta in malo modo o le prende in giro. Oppure l’uso del trucco per vincere l’eterno problema del “non mi piaccio”. Sono piccoli problemi, che però a volte i ragazzi vivono come drammi esistenziali (“non posso vivere senza di te”) proprio perché nel momento in cui vivono per le prime volte la loro sessualità, non vi è anche una maturità emotiva. E anche quando i ragazzi cercano di separare l’atto sessuale dal coinvolgimento emotivo (“trombamica”) non è spesso per insensibilità, ma solo perché di fronte ad un ragazzo di cui sono innamorate, ma che non le ama, preferiscono accettare una cosa solo fisica piuttosto che niente.
Resta il fatto che sia i ragazzi che le ragazze non riescono facilmente a separare il corpo dalla mente e anche quelli/quelle che sembrano più insensibili, in realtà vivono con grande sofferenza emotiva determinate esperienze. Se le ragazze piangono più spesso non significa che soffrano di più dei loro amici maschietti; questo è uno stereotipo che va smontato, visto che sono solo modi diversi di interiorizzare i sentimenti negativi derivanti da certe esperienze.
La dott.ssa Benedetti ha invitato il pubblico a considerare una certa tolleranza della sofferenza e della noia; i nostri ragazzi, perennemente occupati in continue attività (scuola, sport, attività varie, …), spesso non sanno vivere i momenti in cui si trovano soli; non sanno gestire la noia e nell’ipotesi di sofferenza, si cerca subito “la pillolina” che pone fine al dolore; ebbene, lei ci invita a cercare di affrontare con positività questi momenti: un’ora o una mezzora da soli non è la fine del mondo e non è necessario accendere la TV per sopravvivere; si può tranquillamente fare un’attività che ci gratifichi come leggere un libro o meditare su noi stessi, sulle nostre aspirazioni, sul nostro modo di porci nei confronti degli altri.
In un’epoca in cui le separazioni sono all’ordine del giorno, capita sempre più spesso che il momento in cui il ragazzo conosce la fidanzatina corrisponde a quello in cui la madre si trova un nuovo partner, il quale ultimo tende a comportarsi come un ragazzino. Attenzione a non mescolare le due situazioni e a non creare situazioni di grande confusione in cui i ragazzi sono veramente in difficoltà per capire chi può essere di esempio e quale sia la retta via da seguire.
Interessante il dibattito portato avanti con la platea e applaudita la considerazione della Prof.ssa Galletta di non dare addosso ai ragazzi, quanto piuttosto di rendersi conto che non sono loro che sono cambiati rispetto a quando eravamo ragazzi noi, ma piuttosto siamo noi che siamo cambiati e troppo spesso abbiamo perso la semplicità e la capacità di osservare coloro che vivono nella nostra famiglia, presi come siano dalle nostre attività e dai nostri pensieri. Si è parlato del valore dell’attesa (vi ricordate il sentimento che ci pervadeva nella nostra infanzia quando eravamo in attesa di S. Lucia ?), un valore che non va svilito con regali continui e crescenti, che non fanno altro che uccidere il momento dell’attesa.
La dott.ssa Maroli e la dott.ssa Benedetti hanno a questo punto illustrato l’importanza educare alle emozioni, declinandola in tre passi:
- la gestione delle emozioni
- il linguaggio dei sentimenti
- la gestione dei desideri
Il linguaggio dei sentimenti ci deve portare ad esprimere verso i nostri figli e verso nostra moglie quelle parole che spesso ci possono illuminare la giornata (dire “grazie” in famiglia non è vietato, né lo è fare un gesto gentile e tantomeno essere affettuosi verso i nostri cari). Il linguaggio dei sentimenti quindi verte sul linguaggio verbale (“grazie”, “ti voglio bene”), ma soprattutto su quello non verbale (basta uno sguardo per essere maleducati verso qualcuno, anche senza pronunciare parola). La gestione delle emozioni sta ad indicare che dobbiamo, pur nella nostra umana fragilità, saper trovare la forza per esprimere il buono ed il bello che c’è in noi, sapere che la gioia è contagiosa e che il nostro donarci agli altri e aiutarli nei loro momenti difficili è il regalo più bello che gli si possa fare.
Infine, la gestione dei desideri: non vuol dire “dirgli sempre di sì”, anzi a volte qualche bel NO è molto più salutare; cerchiamo, senza essere troppo invadenti, di cogliere le loro aspirazioni e i loro desideri perché i desideri – lo dice il loro significato etimologico – portano alle stelle (de sidera).
Si è parlato poi di educazione della persona intesa come sublimazione di determinati valori che devono caratterizzare la nostra esistenza di esseri intelligenti e umani: il rispetto degli altri o la responsabilità delle nostre azioni.
A seguire, interventi finali da parte di un pubblico attento e interessato e – udite, udite – persone fuori dal Tommasoli a confrontarsi su quanto ascoltato e sulle reciproche esperienze.
“Grazie” alle nostre due brave professioniste che hanno saputo coinvolgere il pubblico su un tema di grande attualità e lo hanno fatto con grande competenza e sagacia.
per PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO
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