mercoledì 18 aprile 2018 CULTURA, pagina 53
SOCIETÀ. Il filosofo ha incontrato gli alunni dell’istituto Pasoli e ha parlato del suo nuovo libro
Galimberti dà la parola ai giovani
«Violenza e cyberbullismo? Manca un’adeguata educazione emotiva»
In una società in cui i giovani non vedono un futuro certo e ne soffrono, esiste un ipotetico 10 per cento di ragazzi che non si rassegnano, si impegnano per la realizzazione dei loro sogni, ricorrendo all’ironia, e rifiutano di farsi etichettare come nativi digitali per impostare relazioni reali più soddisfacenti, chiedendo agli adulti di ascoltarli davvero. «Una piccola percentuale che non si illude che l’epoca nichilista possa passare rapidamente, ma che si muove in questa realtà perché ritiene che il futuro gli appartenga di diritto, se non altro per ragioni biologiche». Lo ha affermato Umberto Galimberti, giunto il 12 aprile all’istituto Pasoli a un incontro formativo organizzato dalla rete Scuola e territorio, educare insieme e dell’associazione Prospettiva Famiglia per confrontarsi con circa 500 persone tra docenti, genitori e ragazzi sulle caratteristiche e sulle aspettative delle generazioni dei «senza» o «dei sogni infranti».Il filosofo che nel 2007 aveva evidenziato nei ragazzi il nichilismo passivo della rassegnazione ne «L’ospite inquietante» ha così impostato un inedito dialogo con un centinaio di «nichilisti attivi» veronesi sui temi del nuovo libro «La parola ai giovani», edito da Feltrinelli e basato su una settantina di lettere ricevute da esponenti delle nuove generazioni. Galimberti inquadra così la prospettiva sociale e culturale: «Non dobbiamo chiederci che cosa possiamo fare con la tecnologia, ma cosa invece la tecnica può fare di noi. Oggi le categorie dello spazio e del tempo vengono stravolte, manca lo spazio per la riflessione e anche il linguaggio si impoverisce. Se, come sosteneva il filosofo Heidegger, non possiamo pensare quello che non possiamo definire con le parole e se ipotizziamo oggi una conoscenza media di 200 parole contro le 1.600 di quasi quarant’anni fa, comprendiamo la rivoluzione di cui oggi siamo testimoni». Le derive di violenza, bullismo e cyberbullismo vengono inquadrate dallo psicologo e docente universitario come frutto di pulsioni non mediate da una adeguata educazione emotiva e, in particolare, sentimentale. «L’educazione emotiva può aiutarci a superare il momento pulsionale, ma abbiamo bisogno dei sentimenti che non abbiamo per natura e maturiamo invece attraverso la cultura», ha ribadito. «Oggi in genere i ragazzi non sanno dare loro un nome e tantomeno gestirli. Molti non avvertono la differenza tra ciò che è grave e ciò che non lo è, tra insultare un professore e prenderlo a calci, ad esempio. La scuola, più che puntare sulle tecnologie, dovrebbe instillare la passione per la cultura, che mostra da secoli il significato di amore, dolore, noia o disperazione. In un contesto che dà valore ai soldi e al prestigio è più che mai necessario prima formare l’uomo e poi insegnargli un mestiere o una specializzazione».
Monica Sommacampagna