Ciclo di eventi “Per non dimenticare Nicola”
“Il bisogno di pensare”
Vito MANCUSO
13 maggio 2018 – Chiesa di San Nicolò
Relatore: Vito MANCUSO, teologo, filosofo, scrittore
Vito Mancuso ci ha accompagnati oggi pomeriggio in un viaggio affascinante che – facendo leva su una cultura umanistica di raro livello – gli ha permesso di accompagnarci in un modo a noi tanto vicino, visto che investe la natura umana, eppure altrettanto lontano, vista la nostra difficoltà a trovare il tempo e l’attitudine di pensare.
Pensare: un bisogno fortissimo dell’uomo che può trasformarsi in un gusto, un piacere di vivere. Riusciamo a vivere pienamente la vita solo se ci fermiamo a pensare, a meditare, a raccordare fatti e concetti per vedere quel qualcosa in più che sovrintende la quotidianità ma che al tempo stesso la supera per dare un senso alla nostra vita. 2.200 anni fa, Plauto diceva la frase che tutti conosciamo: homo homini lupus, ma solo due secoli dopo c’era chi diceva: homo homini deus. L’uomo è lupo per un altro uomo oppure l’uomo è per l’altro uomo qualcosa di divino? Sono gli estremi, che come spesso accade, finiscono per toccarsi; eppure, come dice Mancuso, i ricordi più belli della nostra vita sono sicuramente legati ad una persona, così come analogamente i ricordi più brutti sono pure legati ad una persona. E’ l’alfa e l’omega, è la nascita e la morte, è il Principio e la Fine. L’Uomo sa essere quanto di più divino esista sulla faccia della Terra, eppure al tempo stesso l’Uomo è capace delle peggiore nefandezze. Le due morti, oggi ricordate possono essere un valido esempio di queste estremità; da una parte la morte – 50 anni fa – di Romano Guardini, una persona che ebbe modo di esprimere nel ruolo di docente tutte le sue capacità di insegnamento e di guida, uno che raggiunse la morte al termine naturale di un lavoro completato, compiuto, ben fatto. Dall’altra, la morte di Nicola Tommasoli, neanche trentenne, ucciso in modo violento all’inizio di una vita che doveva ancora esprimersi e svilupparsi in tutta la sua pienezza. Due morti diametralmente opposte. Si pensi, dice Mancuso, alla descrizione della morte di Gesù Cristo fatta dagli evangelisti Luca e Giovanni rispetto a quella fatta da Matteo e Marco. Per Luca e Giovanni, quella morte è la naturale conclusione di una missione portata a termine (“Tutto è compiuto”), è una vittoria piena; al contrario, per Marco e Matteo la morte di Gesù non suona esattamente come una vittoria (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”); allo stesso modo si veda il diverso modo di rappresentare Cristo in croce nel primo millennio piuttosto che nel secondo; nel primo prevale una visione bizantina del Cristo in croce, sorridente e incoronato, nel secondo millennio invece prevale una visione più triste e preoccupante con un Cristo sofferente per il supplizio ricevuto.
Nella seconda parte Mancuso si è soffermato su due frasi di Hannah Arendt (ricordiamo l’opera “a banalità del male”), laddove essa sostiene che l’oggetto del nostro pensare dà valore al pensare stesso e dove emerge che in ognuno di noi c’è qualcosa di divino, ma solo se lo si coltiva, lo si irriga e lo si aiuta a svilupparsi e a crescere. Per far ciò, dobbiamo abituarci a pensare al Bene e al bello; la bellezza è ciò che ci eleva e ci porta verso l’immortalità. Se pensiamo alle notizie che diffondono quotidianamente i mass media, possiamo affermare con tranquillità che siamo ancora lontani da questo stadio. Difficile individuare intorno a noi, ciò che c’è di bello e di prezioso, ciò che è meraviglioso (il suffisso –oso indica il profumo che emana da questa bellezza e da questo sentimento; “così come amoroso, un amore così intenso che se ne sente il profumo”). E chi non cerca la giustizia e la sapienza non coltiva certo questa scintilla divina che c’è in lui.
Eppure pensare è alla base della nostra esistenza: penso, dunque sono (cogito, ergo sum); è talmente importante fermarsi a pensare, a collegare, a meditare che se non facciamo questo, restiamo invischiati nella quotidianità e non potremo mai cogliere quella armonia che sovrintende alla nostra esistenza terrena. Il dittongo “lg” alla base di logos e presente in molte parole (lex, legis per es. oppure algoritmo, ) indica molte cose e può essere tradotto in vari modi: da ragione a pensiero, da studio a … lista della spesa. Anche leggere e legare sono inerenti questa radice perché indicano la capacità di mettere insieme elementi apparentemente insignificanti per ottenere invece un significato profondo. Perché le pressioni della vita, quando impattano su di noi, generano delle impressioni (pressioni dentro), che si trasformano nel nostro modo di dire al mondo ciò che siamo (espressioni); ecco, dunque, che ciò che noi esterniamo non è altro che il nostro vissuto su come le pressioni della vita sono entrate in noi.
Infine, Mancuso ci ha condotti verso l’amore per la conoscenza, la Philosophia. Chi è sophia? Sophia è sapienza, è conoscenza, ma sempre accompagnata dal sapore. La sapienza senza sapore è tipica dell’erudito, del dotto, ma non del sapiente; il sapore senza sapienza è tipico del saggio. Quante volte ci siamo trovati con persona apparentemente pieni di conoscenza, ma che non avevano niente da dire? Al contrario, quante volte ci siamo trovati con persone che pur non avendo una grande conoscenza, sapevano dare risposte alle nostre domande sulla vita solo con poche parole o con uno sguardo o con il suo portamento? Amore per la sapienza, questo è la filosofia.
Al termine della sua presentazione, così come del suo libro, Vito Mancuso ci riporta alcune indicazioni che aveva scritto per sé stesso, ma che poi ha deciso di divulgare: leggere (“meno tecnologia, più cultura”), sottolineare (magari con due colori), ma solo le cose essenziali, fermarsi a pensare, fare dei collegamenti, sviluppare il ragionamento, pensare in positivo, ma soprattutto sorridere, sorridere anche senza motivo.
Un motivo sopraggiungerà.
Per PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO