Casse 2B
Scuola secondaria di I grado
A.Caperle
PROGETTO LEGALITA’
LO SCANDALO DELL’ONESTA’
Percorso di lavoro
Brainstorming:
v Riflessione e ricerca di risposte sul concetto di onestà
- Che cosa significa la parola onestà?
L’onestà è un concetto astratto, una qualità dell’uomo che segue regole di corretta civiltà.
- Quali i suoi sinonimi e contrari?
Sinonimi: Verità – sincerità – giustizia – altruismo – gentilezza – correttezza
Contrari: slealtà – ipocrisia – avarizia – maleducazione – falsità – essere doppi
- Posso raccontare esempi di onestà?
Esempi tratti dalla famiglia e da persone impegnate nel sociale.
Definizione:
v Lettura di alcune definizioni di onestà.
- Treccani: persona che agisce con onestà, lealtà, rettitudine, sincerità, in base a principî morali ritenuti universalmente validi, astenendosi da azioni riprovevoli nei confronti del prossimo, sia in modo assoluto, sia in rapporto alla propria condizione, alla professione che esercita, all’ambiente in cui vive.
- Wikipedia: L’onestà (dal latino honestas) indica la qualità umana di agire e comunicare in maniera sincera, leale e trasparente, in base a princìpi morali ritenuti universalmente validi. Questo comporta l’astenersi da azioni riprovevoli nei confronti del prossimo, sia in modo assoluto, sia in rapporto alla propria condizione, alla professione che si esercita ed all’ambiente in cui si vive. L’onestà si contrappone ai più comuni disvalori nei rapporti umani, quali l’ipocrisia, la menzogna ed il segreto. In molti casi la disonestà si configura come vero e proprio reato punibile penalmente, ad esempio nei casi di corruzione e concussione di pubblici ufficiali. L’onestà ha infatti un’importante centralità nei rapporti sociali e costituisce uno dei valori fondanti dello stato di diritto.
v Riflessione e nuova definizione di “onestà”: L’onestà indica la qualità umana di agire e comunicare in maniera sincera, astenendosi da azioni riprovevoli verso il prossimo fondate sull’inganno.
Frasi celebri:
v Ricerca di frasi celebri sul concetto di onestà. Di particolare rilevanza:
- Platone: Di fronte a tali episodi, a siffatti uomini che si occupavano di politica, a tali leggi e costumi, quanto più, col passare degli anni, riflettevo, tanto più mi sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto.
– Sembra che Platone testimoni la difficoltà dell’essere onesti in politica.
- Martin Luther King: Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti.
– Gli onesti devono avere il coraggio di non vergognarsi, di parlare e di testimoniare la rettitudine.
- Sandro Pertini: L’appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti prima di tutto. La politica deve essere fatta con le mani pulite.
– La politica, soprattutto, deve avere le mani pulite. Cittadini onesti generano una società onesta.
Lettura e riflessione:
v Lettura, riflessione, sottolineatura dei punti più importanti di Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti di Italo Calvino
Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti di Italo Calvino
C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con sé una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.
Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere.
Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.
Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società , ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.
Tratto da Romanzi e racconti – volume 3°, Racconti e apologhi sparsi, i Meridiani, Arnoldo Mondadori editore. Uscito su la Repubblica, 15 marzo 1980, col titolo “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”
Canzone:
v Chi è “sornione”?
Colui che sa dissimulare i propri sentimenti e le proprie intenzioni sotto un’apparenza bonaria e indifferente; che sa fingere abilmente, calcolatamente; disonesto nei sentimenti.
v Ascolto della canzone “Sornione” di Daniele Silvestri. Lettura del testo, riflessione in aula sulle parti più importanti.
A domandarti come stai,
Si corre sempre un certo rischio.
Il rischio che risponderai
E questo normalmente sai,
Non è previsto!
Non è prevista l’onestà
E se ti guardi intorno,
Mi darai ragione.
E va di moda la sincerità
Ma solo quando è urlata
Alla televisione!
La verità non paga mai
Anzi negli altri mette sempre agitazione!
Non discutere di ciò che sai
Su tutto il resto,
Esprimi sempre un’opinione!
Chi non conosce dignità,
Non può nemmeno percepire
Umiliazione
E se qualcuno mai te lo rinfaccerà
Non gli rispondere,
Sorridigli SORNIONE! SORNIONE!
(Niccolò Fabi)
Di andare dritto proprio
Non mi va
Girare intorno è la mia condizione
Tipo avvoltoio
Sulla verità
Se guardo altrove
Non è per distrazione!
È il tempo che è
Necessario
Per decidere,
Per affilare
Le unghie
E poi combattere
Anche se sembra
Che nulla mai mi tocchi
Quando sorrido
Non chiudo certo
Gli occhi!
Ma le regole le so
Giocherò seriamente
Come so, come sai
Altrimenti non potrei
Rispettare
A fondo questo impegno
E domandare ancora
Il tuo sostegno!
Amami…tu amami!
(E certamente soffrirai
Ti ribellerai, mi maledirai
Mi dirai
Che ti rovinai
Poi mi odierai
Poi, forse,
Ci ripenserai)
E osserva bene questo ghigno
Quando mi rincontrerai
Mi sorriderai…SORNIONE
Ricorda bene questo ghigno
Ricorda bene questo ghigno
A domandarti come stai
Si corre sempre
Un certo rischio
Il rischio che risponderai
E questo sai,
Non è previsto!
Domanda:
La lettura e il lavoro svolto in aula ci hanno suscitato delle domande:
1- Su suggerimento del testo letto, ma gli onesti rischiano l’estinzione?
2- Il concetto che nella politica c’è molta disonestà non è condivisibile. Il politico corrotto non è un disonesto, è un criminale e parlando di disonestà, di fatto gli si fa un favore. Ma se la disonestà in politica è crimine, ma non è altrettanto grave l’essere sornione, ossia il dissimulare i sentimenti e le intenzioni dietro un’apparenza bonaria?
3- Martin Luther King afferma “Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”. Perché il silenzio degli onesti?
Lettura tratta da
Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti di Italo Calvino
Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione?
La lettura e il lavoro svolto in aula ci hanno suscitato delle domande:
1- Su suggerimento del testo letto, ma gli onesti rischiano l’estinzione?
2- Il concetto che nella politica c’è molta disonestà non è condivisibile. Il politico corrotto non è un disonesto, è un criminale e parlando di disonestà, di fatto gli si fa un favore. Ma se la disonestà in politica è crimine, ma non è altrettanto grave l’essere sornione, ossia il dissimulare i sentimenti e le intenzioni dietro un’apparenza bonaria?
3- Martin Luther King afferma “Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”. Perché il silenzio degli onesti?