DIGNITA’ E UMANITA’ NELLE SCELTE DI FINE VITA: LA TERAPIA DEL DOLORE, L’ACCANIMENTO TERAPEUTICO E L’EUTANASIA
9 aprile 2014 – Centro Civico “N. Tommasoli”
Relatori:
- prof. Enrico POLATI – Primario di Anestesia e Rianimazione
- dott. Claudio ANDREOLI – Medico di Medicina generale
- dott. Gianvito ROMANELLI – Medico di Medicina generale, esperto in cure palliative, resp. dell’hospice di Marzana e membro dell’ADO (Assistenza Domiciliare Oncologica)
- Tania RIZZETTI – Infermiera professionale componente del nucleo di cure palliative
- Dott. Francesco BRICOLO – Medico Psichiatra
La VI^ Circoscrizione, con l’aiuto di Prospettiva Famiglia, ha predisposto la serata di questa sera.
Tema spinosissimo quello affrontato questa sera da cinque bravi professionisti, che affrontano quotidianamente situazioni di notevole gravità, di fronte alle quali sanno per nostra fortuna sfoderare non solo grande competenza, ma anche un profondo pragmatismo. Il tema resta difficile anche perché coinvolge aspetti morali, etici, religiosi e politici.
Si tratta di un argomento che la gente comune non affronta volentieri e cioè le scelte di fine vita: sarà per una istintivo senso di conservazione, sarà per scaramanzia, ma se c’è una cosa a cui cerchiamo di non pensare mai è l’unico fatto certo della nostra vita, ossia la nostra morte. Si pensa ad organizzare qualche festa o la Prima Comunione dei nostri figli piuttosto che la loro festa di laurea, vale a dire tutti fatti sicuramente incerti e non si pensa all’unica cosa di cui prima o dopo (speriamo dopo) saremo gli attori protagonisti: la nostra morte, appunto.
Le situazioni che i nostri medici si trovano ad affrontare sono spesso legate a patologie di natura oncologica, traumatica o neurovegetativa che si possono protrarre per molto tempo e per le quali le speranze di successo non sono mai particolarmente elevate. La medicina ha fatto dei passi avanti e tante patologie, una volta mortali, oggi non lo sono più (si pensi all’AIDS), ma ve ne sono ancora molte di fronte alle quali la medicina può fare ben poco e soprattutto con percentuali via via decrescenti, quanto più la malattia è ad uno stadio avanzato. Si aggiunga che la medicina spesso non guarisce le patologie, ma le cronicizza.
Perché parlare di fine vita ? Perché la medicina moderna consente di mantenere artificialmente in vita dei malati che hanno una qualità di vita o una vita di relazione assolutamente scadente o addirittura inesistente. A ciò si aggiunga che per quanto riguarda l’aspettativa di vita, l’Italia è al 4° posto a livello mondiale (Giappone al 1° posto, USA al 46°); ne discende che il problema è più che mai attuale e va affrontato soprattutto in Paesi come l’Italia alla luce del fatto che queste patologie si manifestano in percentuale più elevata in pazienti di età avanzata.
I dati Eurispes ci dicono che nel 2013 il 36% circa degli italiani era favorevole al suicidio assistito, mentre il 64% era favorevole all’eutanasia.
E’ probabile che non vi sia chiarezza o conoscenza sui termini.
L’eutanasia (buona morte) consiste nel procurare nel suo interesse, la morte di una persona, la cui qualità di vita è permanentemente compromessa.
Ve ne sono varie versioni (attiva diretta, attiva indiretta, passiva o omissiva, volontaria, non volontaria,
Il suicidio assistito invece è l’intervento medico-amministrativo su una persona che ha chiesto di essere aiutato a morire tramite suicidio, ma senza la somministrazione delle sostanze.
Se confrontiamo le due situazioni (eutanasia vs. suicidio assistito) e le avviciniamo alle percentuali pubblicate da Eurispes, da cui emerge che gli Italiani sono nettamente più favorevoli al suicidio assistito, se ne deduce, per usare le parole del dott. Polati, che forse gli italiani non conoscono la differenza fra un ladro di polli e un assassino.
Le azioni che possono essere intraprese di fronte a queste gravi patologie sono varie: abbandono terapeutico, accanimento terapeutico, testamento biologico (DAT) obbligo di non rianimare (do not resuscitate order).
In altri Paesi, specie in quelli di origine anglosassone (USA, Australia, Nord Europa), la legislazione è chiara ed ha dato valore legale ad alcuni di questi atti (eutanasia, DAT, …); purtroppo in Italia la legislazione è piuttosto ambigua. Il dott. Polati ha poi parlato della terapia del dolore; una terapia che oggi viene condotta con successo in ambito oncologico e che invece in altre aree (traumatiche) non dà ancora soluzioni, lasciando i malati in una situazione di tale sofferenza da indurli talvolta al suicidio.
Il dott. Andreoli ha riportato interessanti dati sulla nostra Regione relativi ai pazienti sottoposti a cure palliative; spesso si travisa il significato di questa parola, intendendola come cura con efficacia limitata o inutile, mentre in realtà il significato è quello di dare risposte a tutte le necessità della persona (pallium, come il mantello degli antichi romani) e non il singolo problema che si è manifestato. Solo il 35% dei pazienti è morto a casa, mentre il benchmark è del 65%. E’ da considerare che questa percentuale è anche influenzata da aspetti sociologici (nelle zone dove vi è ancora una società patriarcale (il Sud, i paesi di montagna, …).
Quali sono i pilastri dell’accompagnamento terapeutico ?
- Alleviare il dolore
- Comprendere il bisogno delle emozioni
- Proporzionare le cure (principio della totalità)
- Decodificare la richiesta
I dott. Romanelli e Rizzetti ci hanno parlato della loro attività di supporto a malati terminali, sia in hospice che remoti, dove si dispone di molto tempo e si instaura col paziente e con la sua famiglia un rapporto davvero intenso, che non è quello classico di medico-paziente, bensì il malato e la sua famiglia vengono seguiti in tutto e per tutto e si crea una situazione di positività, anche tramite colloqui, con l’obiettivo non di far sì che i malati vadano lì a morire, quanto piuttosto per vivere bene la loro ultima parte di vita.
Infine, ha preso la parola lo psichiatra Bricolo che ha sostenuto il problema di quanto la coscienza di questi professionisti viene messa in discussione (si pensi ad un medico di estrazione cattolica che debba decidere se procedere con l’abbandono terapeutico,
Tutti interventi molto precisi e pertinenti, arricchiti dall’esperienza pratica quotidiana di queste persone, che hanno fatto capire quanti bravi professionisti ci sono in circolazione, che si danno da fare con intelligenza e concretezza anche a fronte di una legislazione sul tema, assolutamente ambigua.
Un grazie sincero a tutti i nostri relatori che hanno saputo trattare un tema davvero difficile con grande serietà e con attenzione alla “persona” in tutti suoi aspetti, fisici, psicologici e morali e ai suoi familiari, i quali spesso, in queste occasioni, vivono un’esperienza decisamente drammatica .
A presto.
Per PROSPETTIVA FAMIGLIA
dott. Paolo STEFANO
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