“Costruire cose buone”: la mission (not) impossible di Prospettiva Famiglia
L’associazione veronese lavora da oltre 10 anni con e per i giovani, cementando la cultura della legalità nella base del loro futuro civile
di Alessandra Moro (20 Dic 2018)
Il progetto “Prospettiva famiglia” prende vita nel 2007 nella città scaligera, grazie ad alcuni docenti, in particolare Andrea Salandra e Daniela Galletta, che colgono con sensibilità l’implicita necessità, da parte di alcune famiglie, di linee-guida per portare avanti l’educazione dei figli: già, non sono solo i giovani ad avere bisogno di spunti, ma anche i genitori, spesso “distratti” dagli impegni quotidiani e con poche opportunità per momenti di confronto con la prole
La legge è uguale per tutti? Magari! Ma inculcare – da un lato – ed apprendere – da un altro – i sani principi dell’onestà e del viver civile devono rimanere azioni ferme, nonostante un’attualità spesso sconfortante. A riequilibrare il piatto della bilancia ci sono realtà toste come quella di un coordinamento veronese che, partito solo dalla buona volontà di poche ed energiche persone, nel giro di pochi anni è diventato una referenza nazionale, anzi, eccellenza, riconosciuta da un invito ufficiale, lo scorso 3 dicembre, alla Camera dei Deputati a Roma, a testimoniare un percorso decennale.
Il progetto “Prospettiva famiglia” prende, infatti, vita nel 2007 nella città scaligera, grazie ad alcuni docenti, in particolare Andrea Salandra e Daniela Galletta, che colgono con sensibilità l’implicita necessità, da parte di alcune famiglie, di linee-guida per portare avanti l’educazione dei figli: già, non sono solo i giovani ad avere bisogno di spunti, ma anche i genitori, spesso “distratti” dagli impegni quotidiani e con poche opportunità per momenti di confronto con la prole.
Daniela Galletta oggi coordina la rete di scuole “Scuola e Territorio: Educare insieme” ed è l’anima dell’associazione “Prospettiva Famiglia”, macchina che viaggia a pieni giri e che nella stagione scorsa ha registrato 11.600 presenze agli incontri pubblici organizzati con ospiti sempre di grande nome: un traguardo che è valso un riconoscimento pubblico dal Comune di Verona.
“Costruire cose buone” è il concetto giustamente semplice che fonda le dinamiche del gruppo ed è diventato, da poco, anche un’estensione concreta di “Prospettiva Famiglia”, coesione – sempre coordinata da Galletta – di giovani con slancio verso il prossimo, vedi Giovanni Barbera, ventenne iscrittosi all’Admor (Associazione donatori midollo osseo) e, dopo pochi giorni, già donatore per una signora belga, cui ha salvato la vita grazie ad una lunga trasfusione, che lo ha visto lasciare l’ospedale colmo della più pura felicità per quanto fatto.
«Per il lavoro che svolgo – così Daniela ripercorre la genesi dell’associazione – sono sempre stata a contatto con figli e genitori e mi sono resa conto che proporre momenti formativi ulteriori rispetto a quelli scolastici avrebbe potuto tramutarsi in una risorsa utile non solo per i ragazzi, ma anche per gli adulti. Per verificare, comunque, se questa intuizione era attendibile, ho – con altri sostenitori del progetto – sondato il territorio tramite la consegna di un questionario a 1500 famiglie, per inquadrare realisticamente le esigenze, sulla base delle tipologie di nuclei. Questo lavoro, durato due anni, si è tradotto in più di 150.000 dati – disponibili sul sito www.prospettivafamiglia.it – che hanno rappresentato la base del nostro successivo impegno sul campo, dal 2008. Il database ci ha dato – purtroppo – ragione, nel senso che ha confermato l’esistenza di grosse problematiche nelle dinamiche educative familiari, spronandoci alla concretizzazione di un progetto “scuola per genitori”, sviluppatosi negli anni e giunto ad essere attualmente una realtà di riferimento, con centinaia di presenze ad ogni incontro».
Verona si è dimostrata ricettiva nel tempo? «Città splendida, ma difficile, chiusa; per radicarci abbiamo profuso tanto lavoro con costanza e pazienza, ripagati, ora, da fiducia nel nostro operato e straordinarie affluenze ai nostri incontri intellettuali e formativi, nell’ordine delle centinaia di persone, organizzati senza interessi personali e, non ultima peculiarità, ad ingresso gratuito. Erano 500 per Umberto Galimberti, ad esempio». E il tuo ruolo in tutto ciò? «Divulgare le nostre attività – e il risultato è l’’accredito presso enti e l’Amministrazione comunale – e stringere relazioni, mantenere il contatto vivo con le persone, raccontando e coinvolgendo. Un impegno non indifferente, visto che lo affianco al mio lavoro quotidiano come docente, ma umanamente ho ricevuto più di quanto ho dato, ho trovato amici preziosi come Agnese Moro e Gherardo Colombo».
Si coglie lo spessore degli ospiti. Come si arriva a loro? «Tre canali principali: la sinergia con l’”Associazione sulle regole” di Gherardo Colombo, quella con una libreria veronese, la Jolly di Claudio De Signori, che ci aiuta nei contatti con scrittori, e quella con “Libera” di Don Ciotti, di cui noi siamo presidio».
Spostando l’asse dal personaggio al pubblico, significative sono le impressioni raccolte tra i giovani che partecipano alle iniziative: lo scorso 5 novembre la 5° A dell’istituto superiore Copernico, seguita da Daniela ha visitato il Senato a Roma e, dalle impressioni ricavate, c’è da sperare che le nuove generazioni prendano al più presto il posto delle attuali, sugli scranni del potere. Poca attenzione rivolta ai giovani visitatori, svilendo il loro interesse (e il viaggio compiuto). Franziska suggerisce di seguire via web cosa succede per non avere la scusa di non sapere: «potremmo essere molto più informati». Ha ragione. Il timore, tuttavia, è quello di essere còlti dall’impotenza di replica, ascoltando alcune relazioni e decisioni distanti dalle reali necessità del Paese.
Tra le recenti e più intense esperienze organizzate da “Prospettiva Famiglia” c’è stato anche un blindato incontro, letteralmente dietro le sbarre, a Verona, il 19 ottobre. A monte c’è un progetto inedito, sconcertante e straziante: il “Libro dell’Incontro”, scritto dal padre gesuita Guido Bertagna insieme al criminologo Adolfo Ceretti e alla giurista Claudia Mazzucato, ovvero i tre mediatori che hanno favorito, negli anni, il dialogo e il confronto tra vittime, familiari e responsabili della lotta armata italiana. A Verona, il carcere di Montorio ha messo davanti Agnese Moro – figlia dello statista rapito il 16 marzo 1978 e poi assassinato – e l’ex-brigatista Andrea Coi, mente del gruppo (e oltre trent’anni di carcere), per rivolgersi ad una cinquantina di allievi della scuola per adulti della casa circondariale e ad altrettanti giovani degli istituti superiori cittadini “Dal Cero”, il citato “Copernico” e “Pasoli”, sulla soglia del titolo di maturità.
Sullo sfondo storico degli “anni di piombo”, innocente e colpevole hanno incrociato la propria rielaborazione dei fatti e il calco che ne hanno ricevuto i ragazzi è stato superficialmente il medesimo: l’ammirazione, lo stupore per la forza di Agnese nel “perdonare”, non tanto per dar pace, ma per darsi pace. Giulia, 5° E “Copernico”: «ho apprezzato che non abbia parlato solo di sé come vittima, ma abbia ricordato anche gli altri, le guardie del corpo cadute». E l’altro? «Pensavo fosse stato coinvolto materialmente, invece era la mente. Ma ciò non allenta la responsabilità; ha concretizzato la violenza in altre persone».
Angela è rimasta sorpresa dalla «capacità di dialogo» tra i due ospiti; non è stato usato il termine “perdono”, ma il faccia a faccia si è rivelato come «un espediente per far uscire rabbia e sofferenza dalla vita di Agnese», analizza Anita. «Mi ha impressionato la persona che era lui – dice Giovanni – e di come riuscisse a narrare con nitidezza il suo passato e le sue ideologie. La sua “normalità” mi ha stupito, sembrava di ascoltare un vicino di casa. Di Agnese mi ha colpito il punto di vista del dolore, di come è stato compreso, con un altruismo che le ha fatto raccontare più quello dei familiari suoi e delle vittime, rispetto a quello personale». Analogamente Lucia: «Intenso il discorso sul coraggio, saper ascoltare il proprio dolore: una modalità esemplare di reazione. E mi ha meravigliato la memoria precisa dei fatti, da parte di entrambi: mi ha invogliato ad approfondire quel momento storico».
La particolarità del contesto ha lasciato traccia in Franziska, 5° A “Pasoli”, «la vicinanza con detenute e detenuti»; ha, come molti altri coetanei, sottolineato la mancanza di «un’esplicita citazione del perdono, sostituita dallo “star bene”; difficile capire come Agnese sia riuscita a compiere questo percorso: è stato, nel complesso, un momento molto formativo». Per Riccardo, «Agnese e Andrea hanno fatto bene a non approfondire l’antefatto. Di lei mi ha colpito che non cercasse giustizia, ma un punto di incontro».
Agnese Moro, 66 anni, è una persona cordiale, ironica e gentile; ha deciso da due anni di non concedere più interviste e, per non travisare il suo pensiero, riprendiamo uno stralcio da “La Stampa” del 16 marzo 2016, pezzo firmato da Nicola Pinna in cui spiegava: «Per me non è facile sentire ancora qualcuno dire che gli ex avevano solo intenzioni di giustizia e di amore. Per me quello è un ceffone». E «Ci sono cose che non cambieranno mai. Amavo mio padre e lo amo come allora. Amavo i ragazzi della scorta e li amo ancora. Mio padre mi manca e mi mancherà sempre. Il presente è accompagnato dal desiderio di far capire alle persone la mia scelta di riconciliazione. Qualcuno ancora non ha capito bene la mia scelta. Uno è mio figlio di 20 anni. Quando gli dico che i suoi amici non mi piacciono tanto lui ha già la risposta pronta: “So’ belli i tuoi…”». Ecco lo spirito che le ha permesso di andare oltre la tragedia ed intraprendere quel pellegrinaggio interiore che ha preso il via nove anni fa in un rifugio gesuita sulle Alpi Marittime ed è diventato un viaggio in Italia con la compagnia più anomala che mai forse avrebbe ipotizzato.