PER QUESTO TI CHIAMO GIOVANNI. UN PADRE ALLO SPECCHIO. Introduzione
Il prossimo settembre, la nostra classe, la 2B della Scuola Secondaria di Primo Grado “Simeoni”, incontrerà la signora Maria Falcone, la sorella del giudice Giovanni, il quale ha dedicato tutta la sua vita alla lotta contro la mafia.
Per prepararci a questo evento, in classe abbiamo letto il libro “Per questo mi chiamo Giovanni” di Luigi Garlando.
La storia è quella di un padre che decide di raccontare al figlio di dieci anni, Giovanni, la vita di Giovanni Falcone; gli eventi personali si intrecciano con quelli della cronaca nazionale, così come i personaggi di Cosa Nostra trovano un corrispondente nei comportamenti e nell’omertà dei compagni di classe del piccolo Giovanni.
Il libro ci ha appassionato e in certi momenti siamo rimasti sconvolti: come si possono capire le violenze compiute sulle persone che non vogliono sottostare alla crudele legge della mafia?
Come si può vivere in un clima di paura, dove l’unica legge che conta è quella del più forte e del prepotente?
Da qui nasce il nostro racconto: abbiamo immaginato che il padre del piccolo Giovanni in tre momenti diversi si guardi allo specchio e rifletta sulla sua vita e su quella del figlio, sul suo futuro e su quello della sua amata terra.
Montorio, 22 aprile 2013
E’ pronta “la bambola”?
Anche oggi sono in ritardo! Mi alzo, corro a prepararmi e, come ogni mattina, mi guardo velocemente allo specchio per darmi un’ultima sistemata: sono pronto.
Quando esco di casa, vedo il mare di Palermo: è bellissimo, blu e limpido, i suoi colori e il profumo mi invadono e mi danno un senso di leggerezza e vitalità.
Sono contento di vivere in questa bella città e di fare il mio lavoro: ho un negozio di giocattoli che è stato di mio padre e, prima di lui, di mio nonno.
La cosa che mi rende felice è vedere uscire dal mio negozio i bambini fieri del proprio giocattolo: i loro sorrisi e la loro innocenza mi fanno dimenticare per un momento che purtroppo la mia città, e non solo quella, soffre per la mafia.
Proprio oggi, come ogni mese, è il giorno in cui devo pagare il pizzo: in fin dei conti, penso, è una tassa come tante altre che mi garantisce di continuare a svolgere la mia attività, una tassa che pago come facevano mio padre e, prima di lui, mio nonno.
Arrivano sempre in due, uno rimane sulla porta per controllare che non ci sia la polizia, l’altro entra in negozio, mi si avvicina e come sempre mi chiede se è pronta “la bambola”; è il loro modo per farmi capire le cose senza che gli altri clienti si insospettiscano: in realtà dentro alla scatola della bambola ci sono i miei soldi, quelli che guadagno con il negozio, quelli che vorrei usare per la mia vita.
Ma non ho scelta: se non pago, minacciano di dare fuoco al mio negozio e chissà di cos’altro sono capaci…
So che è sbagliato pagare, perché i miei soldi vanno ad alimentare tutti gli affari sporchi dei mafiosi, ma cosa posso fare? Tutti i negozianti pagano il pizzo, ma tutti hanno paura di parlare: ognuno di noi si sente solo.
È sera: chiudo il negozio e torno a casa. Quando arrivo, mi guardo allo specchio e mi vedo stanco, stanco di pagare la mafia.
Palermo, 24 maggio 1992, il giorno dopo l’attentato; la Sicilia apre gli occhi.
Sono diventato papà! Sì, ieri è nato mio figlio! Che gioia!
Ma ieri, mentre io festeggiavo per questo evento, sull’autostrada nei pressi di Capaci è successo un fatto gravissimo: la mafia ha ucciso il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e alcuni uomini della sua scorta, con un attentato tremendo che ha sbriciolato ogni cosa.
Sono qua davanti allo specchio, ma cerco di evitarlo perché mi vergogno di guardare una persona che in qualche modo ha contribuito a questo attentato; sì, perché i soldi che sono costretto a dare ogni mese ai mafiosi magari sono serviti a comperare il tritolo che ieri ha ucciso Giovanni Falcone, quell’uomo che per anni ha lavorato instancabilmente per liberare Palermo e l’Italia dalla mafia, che ha dato la sua vita per il suo paese, per migliorarlo e per renderlo più giusto.
Salgo in macchina e vado all’ospedale a trovare mia moglie Lucia e mio figlio: abbiamo deciso di chiamarlo Giovanni per onorare quell’uomo che ieri è stato strappato alla vita, alla famiglia e alla sua terra.
Ecco il mio mare, così bello, dove tante persone nuotano felici, ma c’è chi da questo specchio d’acqua non è più riemerso per colpa della mafia che ha voluto eliminarlo, mandandolo a fondo, con del cemento sotto i piedi.
Finalmente prendo in braccio mio figlio e guardandolo mi rendo conto che lui ha bisogno di un futuro migliore, e io di sperarci.
L’attentato a Falcone mi ha aperto gli occhi e non vedo più le cose come una volta; continuo a ripetermi che ho sbagliato: il passato è passato e non si può cambiare, ma il futuro sì.
Per questo d’ora in poi voglio stare dalla parte della giustizia e della legalità.
La prossima volta che gli uomini di Cosa Nostra verranno al negozio per chiedermi il pizzo risponderò che qui non si vendono più “bambole”, non pagherò anche se con le loro minacce cercheranno di farmi cambiare idea.
Ma io non devo cedere: non ho più paura del mostro, sì perché la mafia è un mostro che toglie il futuro e io invece voglio un futuro per me, per mio figlio e per la mia gente.
Insieme cambiamo il futuro.
Questo è un giorno importante: mio figlio Giovanni compie dieci anni ed è anche il decimo anniversario della morte del giudice Giovanni Falcone.
Mi do un rapido sguardo allo specchio, mi vedo soddisfatto perché tante cose sono cambiate, io per primo.
Sono un’altra persona, ora non alimento più il mostro, non vendo più “bambole”.
Il mio vecchio negozio, mandato in fiamme dalla mafia, me lo sono ricostruito, grazie anche all’aiuto di tanti palermitani che come me hanno detto no a una terra senza futuro.
Mi affaccio alla finestra, vedo il mare limpido che sembra accarezzare la mia città, una città che finalmente non è più capovolta: prima i magistrati come Falcone dovevano nascondersi come topi in gabbia, ora sono i mafiosi che temono la legge. Ora prevale una sola regola, non quella dei cosiddetti “uomini d’onore” ma quella dello Stato.
Mi guardo allo specchio e sono orgoglioso di mio figlio: lui e Simone hanno fatto amicizia e insieme sono riusciti a non cedere alle minacce di Tonio, quel ragazzo prepotente che in classe picchiava i compagni pretendendo i loro soldi.
Ora Palermo e tutta l’Italia possono sperare in un futuro migliore, senza mafia e senza ingiustizie.
Questo racconto è stato ideato e scritto dagli alunni della classe 2B della Scuola Secondaria di Primo Grado “L. Simeoni” di Montorio-Verona:
Batttaglia Shriya Beghini Maddalena Colizzi Eleonora Colizzi Ludovica Comerlati Ilaria
Dal Dosso Fabio Fontanabona Miriam Leonardi Greta Masetti Alberto Meneghini Francesca Meneghini Sofia Micheloni Letizia Pagani Adele
Prato Matteo Puliero Andrea Remelli Rachele Signoretti Imogen Turati Andrea Venturini Beatrice
coordinati dalla insegnante di Italiano, prof.ssa Antonella Fiori, nell’ambito del Progetto di Educazione alla Legalità, proposto dalla prof.ssa Daniela Galletta della Rete Prospettiva Famiglia.