E chi l’avrebbe detto una volta? Signore e signori, la buona educazione è progressista. Ma quale anticonformismo, quale trasgressione, quale rottura delle convenzioni. Tutti alibi per prepotenti e cialtroni organizzati. Questo ho pensato quando Paolo Stefano, funzionario di banca veronese, mi ha abbracciato di primo mattino alla stazione della sua città. Per mezz’ora mi aveva fatto compagnia sui binari raccontandomi l’associazione che ha fondato con un gruppo di insegnanti e genitori, “Prospettiva famiglia”.
Lo confesso: quando avevo ricevuto il loro primo invito mi ero immaginato, potenza delle parole, qualcosa di educatamente conservatore. E invece, visto che i tempi contano pur qualcosa, ho scoperto una delle cose più rivoluzionarie che si possano concepire. Una ventina di genitori e insegnanti hanno fatto gruppo. Un’alleanza per aiutare i ragazzi a crescere, a innamorarsi di lettere e cultura civile. Con lui, tra i protagonisti, una professoressa, Daniela Galletta, la coordinatrice, garbatissima mastina, e un attivissimo ex preside, Andrea Salandra. O Ilaria Rodella, donna di lettere e letture. Poi hanno unito intorno a sé associazioni sportive, oratori, librerie. Stretto una convenzione con una rete di quarantasette scuole. E si sono messi a organizzare cultura per Verona, valorizzando anche le sue periferie. “Qui non corre un euro”, spiega Paolo Stefano, “Nessuno di noi prende niente, nessun iscritto ai nostri corsi paga niente, nessun relatore prende niente. Se viene è solo perché ci crede. Quando un noto psicologo ci chiese un cachet, rispondemmo ‘molto gentile’ e chiudemmo lì”. Spiega che tra il comune e una impresa municipalizzata prendono 3500 euro l’anno e con quelli promuovono un’ottantina di eventi. Campagne annuali, sulla bellezza, sul viaggio. Seminari sull’educazione civica o sull ’immigrazione, che Gherardo Colombo tiene da qualche anno. Massimo Recalcati o Umberto Galimberti, Gustavo Zagrebelsky o Dacia Maraini, Gian Carlo Caselli o Piercamillo Davigo, Agnese Moro o Vittorino Andreoli. Testimonianze di giovani immigrati scampati per miracolo (i soccorsi …) ai flutti del Mediterraneo. Campagne di solidarietà, che hanno partorito il loro gioiello quando un giovane ha offerto il suo midollo osseo a una persona compatibile. Borse di studio, una in ricordo di un ragazzo, Nicola Tommasoli, ucciso per sport da una banda “trasgressiva”in odor di destra estrema che lo massacrò all’uscita di una birreria per una sigaretta che non aveva. Era il 2008, Verona restò di sasso e dovette riflettere su di sé e sulla fine di quel giovane. I suoi genitori collaborano, non per caso, con l’associazione. “Che cosa è successo? Davvero noi genitori non c’entriamo niente?”. Il mio interlocutore procede con una logica semplice, serrata, che tradisce un’educazione con le stellette, un padre appuntato dei carabinieri. “Ognuno l’educazione la respira in famiglia. Un genitore si deve pur domandare se con i suoi figli usa dire grazie e per favore, se li saluta quando arriva a casa o quando ne esce, o se mostra loro una passione per le cose belle. Quando uno è abituato da piccolo a dire scusa, anche per degli sgarbi involontari, è difficile che ne venga fuori un manigoldo”. Retorica, si dirà. E invece io rivedo una insegnante dei vicoli napoletani che mi dice un giorno, indicandomi i suoi alunni: “Fino alle due ci siamo noi, poi ci sono le loro famiglie con la televisione. E il mattino dopo la sfida ricomincia”. Racconta, Paolo Stefano, che i loro incontri sono sempre pieni, che il pubblico viene anche dai paesi fuori Verona, che non è vero che i giovani non sono interessati a niente. “Certo bisogna seminare. Poi non è detto che ne verranno sempre frutti copiosi. A volte c’è la grandine. Ma se non si semina niente non viene fuori niente, questo è certo”. L’associazione ha rapporti con “Le regole” di Gherardo Colombo, ha rapporti con Libera, il professore Claudio Ferrari ci lavora tutto l’anno, e giovedì una scuola della rete, la “Pasoli”, ospiterà don Ciotti in vista della manifestazione della memoria di ogni primo giorno di primavera, che quest’anno sarà a Padova. Si respira, ascoltandoli, un’aria di attenzione e di impegno, di rispetto e di responsabilità, e si vorrebbe vivere in un paese così. L’unico slogan che gira, senza che nessuno lo pronunci, è “ognuno faccia quel che può e che deve”. È la cultura veneta del non piangersi addosso. Niente alibi, niente bersagli, dare e costruire. Coltivando la buona educazione, anche se altrove tira vento di trivio.
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