L’ARENA – venerdì 10 gennaio 2020 CULTURA, pagina 34
Il corrispondente di Repubblica autore del libro «La seconda guerra fredda» spiega il duello tra Stati Uniti e Cina per il dominio globale
Il 2020 si è aperto con l’uccisione del generale Qassem Soleimani, capo militare iraniano eliminato su ordine di Donald Trump. E Federico Rampini ha citato, dalle pagine di Repubblica, le parole comparse sul New York Times: si tratta della «mossa più rischiosa compiuta dall’America in Medio Oriente dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Come vanno interpretati, allora, questi venti di guerra, e quali conseguenze avranno sugli equilibri tra le grandi potenze mondiali?Nel doppio appuntamento veronese di ieri, che lo ha visto ospite al Banco Bpm (tutto esaurito) nell’ambito della rassegna Incontro con l’Autore, e poi all’Istituto Copernico-Pasoli, il giornalista ha ricostruito lo scenario attuale riflettendo sulle prospettive che ci aspettano a partire dal suo nuovo libro La seconda guerra fredda – Lo scontro per il nuovo dominio globale (Mondadori, 2019). «I venti di guerra tra Stati Uniti e Iran rientrano purtroppo nello scenario di una seconda guerra fredda, perché la memoria storica deve insegnarci che anche nella prima guerra fredda si combattevano tante guerre calde, sanguinose e cruente. E anche allora gli equilibri erano in continuo movimento: dobbiamo aspettarci che questo accada ancora».Lei sottolinea come il mondo oggi sia sempre più bipolare: da una parte gli Stati Uniti, dall’altra la Cina. Quale sarà il ruolo dell’Iran, dunque?Con un impero americano tendenzialmente in declino e una Cina che si candida a essere la prossima potenza imperiale tutti cercano di trarre il massimo vantaggio e rafforzare la propria posizione. E in questa transizione turbolenta l’Iran è una di quelle medie potenze che hanno ispirazioni egemoniche nella loro area e si comportano come un piccolo impero. Pensiamo alla nostalgia per un dall’impero persiano degli ayatollah, all’impero ottomano di Erdogan e all’impero zarista di Putin. Non c’è dubbio che le liberaldemocrazie sono in sofferenza. È uno dei temi centrali del mio libro.La uccisione di Soleimani ha suscitato grandi polemiche e contestazioni. Lei le condivide?Essa rientra tra le azioni degli Stati Uniti per indebolire l’Iran. Un intento perseguito da molto tempo. I mezzi, poi, possono variare: prima c’erano state le sanzioni economiche, adesso l’eliminazione di un capo militare. Credo che non si debba essere ingenui: Soleimani era un assassino e un terrorista vero, scandalizzarsi per la sua fine non ha senso. Naturalmente è giusto chiedersi se l’America sia pronta ad accettare tutte le conseguenze e le reazioni che può avere l’Iran. Non dimentichiamo che c’è una forte contestazione al suo interno: quando ci ho viaggiato, un anno e mezzo fa, il malcontento era percepibile ovunque. L’Iran sta vivendo un regime corrotto e violento, una dittatura oscurantista medievale. Basti pensare ai diritti delle donne: non ci sono scusanti. Piuttosto è importante capire se il metodo dello scontro scelto da Trump funzionerà e sarà propedeutico ad aprire un futuro migliore per gli iraniani e i popoli confinanti. In tutto questo, come si sta profilando il ruolo della Cina?La Cina nell’immediato è una vittima. Quando gli americani hanno stracciato l’accordo sul nucleare lo hanno fatto offendendo tutti gli altri firmatari, tra cui figura la Cina. Trump infatti aveva messo sanzioni sull’Iran che indirettamente andavano a ostacolare le esportazioni di petrolio verso la Cina, suo primo importatore. Ecco perché è necessario collocare questo scontro nel nuovo contesto energetico mondiale. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’America ha raggiunto l’autosufficienza energetica e già da alcuni anni non importa più una sola goccia di petrolio arabo e persiano. Anzi, è diventata un’esportatrice di gas naturale. La Cina, invece, ha una fame spaventosa di energia fossile. E l’America lo sa, anzi esercita ancora un controllo serrato sul mare.Le rotte navali delle petroliere che partono dal Golfo Persico sono ancora presidiate dalle flotte americane. Ecco perché l’America ha ancora l’arma fatale: poter stringere la Cina alla giugulare, in questo caso l’approvvigionamento energetico. Ma stiamo vivendo gli ultimi capitoli dell’impero americano: la Cina si sta armando a grande velocità. Sta costruendo la Via della Seta, ha una enorme complesso di superiorità convinta che il suo sistema autoritario è più efficiente della nostra liberaldemocrazia. Questo paese, e lo racconto nel libro, ha potuto costruire il suo miracolo economico e il suo decollo industriale e commerciale grazie a una libertà dei commerci e di navigazione che veniva consentita proprio dagli Stati Uniti.Progressi tecnologici spettacolari. La Cina è una risorsa o una minaccia?Può essere vista in entrambi i modi. L’Europa, oggi fragile, deve decidere che cosa fare e come rapportarsi con la Cina dove ambizione e tenacia non mancano. Con il grande apporto della forza femminile: ricordiamo che la Cina è uno dei paesi dell’Asia dove le donne hanno maggiori tutele in confronto ad altri. Una cosa è certa: se un tempo un cittadino europeo per avere gli occhi aperti sul mondo e sul futuro aveva l’obbligo di viaggiare spesso negli Stati Uniti, adesso probabilmente bisogna andare in Cina. È una Cina ben diversa da quella che ho raccontato 15 anni fa. È lì che si gioca il destino dell’umanità.
Silvia Allegri